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Jobs act: riformare il lavoro cancellando i diritti. E’ questa la rivoluzione di Renzi?

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Ha ragione Matteo Renzi: il posto fisso non esiste più. Quindi, ragiona il premier, per rilanciare il mercato del lavoro e tentare di ridurre il mai come ora alto tasso di disoccupazione, si livellano i diritti di tutti i dipendenti, cancellando le garanzie riconosciute dallo statuto dei lavoratori, a partire dalle tutele dell’articolo 18. Ma siamo sicuri che sia l’unica strada possibile?

Dopo aver ascoltato per tre giorni i lavori alla Leopolda mi è venuto qualche dubbio. Ho sentito dire a David Serra, finanziere residente a Londra, ex banchiere nonché titolare del fondo speculativo Algebris e grande sponsor di Renzi, che a suo avviso il diritto di sciopero dei dipendenti pubblici andrebbe limitato perché “gli scioperi creano disoccupazione”. E vabbè. Ho sentito Natale Farinetti detto Oscar parlare dal palco di entusiasmo come ricetta fondamentale per vivacizzare l’economia eppure a 500 metri di distanza dalla Leopolda, nel suo negozio Eataly di Firenze, i dipendenti da mesi denunciano di essere schiavizzati e sottopagati con contratti atipici e interinali.

E allora inizio a farmi qualche domanda: il posto fisso non esiste più, va bene, ma davvero è a causa delle tutele? Secondo il ragionamento di Renzi la colpa è dei lavoratori, altrimenti non interverrebbe su di loro. È lo stesso discorso che la Lega fa sugli immigrati: ne arrivano troppi in Italia, ricacciamoli indietro. Ma negli ultimi venti anni sono arrivati in massa perché sapevano che avrebbero potuto lavorare da schiavi dai tanti imprenditori italiani che li hanno sfruttati per decenni. Perché la Lega non è andata nelle fabbriche del Veneto, della Lombardia, della fantomatica Padania a costringere gli imprenditori ad assumere gli italiani e ha tacitamente accettato che venissero sfruttati, ovviamente in nero, extracomunitari e immigrati anche clandestini?

Stesso discorso, secondo me, vale per il jobs act di Renzi. Perché questa sudditanza nei confronti degli imprenditori? La crisi è prima di tutto per le famiglie non per loro. Sappiamo che tra le piccole e medie imprese è nascosta la parte più consistente dell’evasione fiscale italiana, quelle grandi ogni tanto vengono pizzicate (vedi il caso di Bertelli, intervenuto alla Leopolda, che nel 2013 ha chiuso un accordo con il fisco a fronte di una contestazione da parte dei pm di Milano per un’evasione ipotizzata in 470 milioni di euro). E sappiamo che il ricorso alla delocalizzazione è dovuto all’elevato costo del lavoro in Italia ma questo è dovuto per lo più alla burocrazia e alla fiscalità abnorme che grava sulle aziende. Quindi perché Renzi non semplifica la vita alle aziende privandole così dell’alibi sinora utilizzato per giustificare casse integrazioni, licenziamenti, delocalizzazioni?

Il governo sceglie la strada opposta: invece di semplificare la macchina dello Stato regala agli imprenditori carta bianca sui diritti dei lavoratori, trasformandoli, di fatto, in schiavi e costringendoli a un servilismo nei confronti del padrone. E, al contempo, non sfiora neanche le difficoltà vere denunciate da chi vuole fare azienda. Non solo. Addirittura prevede, nella legge di stabilità, aumenti di Iva e fisco per il futuro. Sì, certo, l’esercito renziano sventola la bandiera delle “tutele crescenti”. Ma intanto i contratti interinali e i vari cococo non vengono cancellati e tutto il potere decisionale è affidato esclusivamente all’imprenditore.

Per carità, io sono solo un giornalista, ma a me pare a dir poco strano che per far ripartire l’economia l’unico modo sia quello di azzerare dei diritti dei lavoratori. È come se per dare stabilità ai governi e fare in modo che durino un intero mandato invece di intervenire sulla selezione e la qualità della classe politica (cacciando gli inquisiti, i condannati, cancellando alcuni degli ancora intoccati privilegi dei parlamentari) siano privati i cittadini del diritto di voto.

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