L’Erasmus è stato il punto di partenza della sua nuova vita. Antonio Calò, 38 anni di Ancona, nel 1999, a 23 anni, è partito per un’esperienza di 10 mesi a Oulu, in Finlandia, e da lì non è più andato via. O meglio, è tornato in Italia, dove studiava fisica all’università di Bologna, ma dopo la laurea ha fatto i bagagli e un biglietto di sola andata. Destinazione: il ritorno nella nazione scandinava.

“Quei 10 mesi di studio all’estero sono stati fondamentali – ammette Antonio, che ha raccontato la sua esperienza a ilfattoquotidiano.it partecipando al progetto di data journalism GenerationE – andando lì ho avuto un’esplosione di entusiasmo nel trovare un mondo che era così internazionale, vivace, diverso. E’ stato un bellissimo periodo sia a livello professionale che personale”. E così per ritrovare “un sistema che, anche se non perfetto, mi aveva colpito per le occasioni che dava” e del quale voleva fare parte, “sono tornato a Bologna, ho dato gli ultimi due esami che mi mancavano, la tesi e sono ripartito per fare il dottorato quattro giorni dopo la laurea, dopo aver ricontattato i professori che avevo conosciuto durante la mia esperienza di studio. Alcuni di loro sono poi diventati miei colleghi”, ricorda.

In Finlandia, oltre al lavoro, ha trovato anche l’amore. Superare i confini italiani e attraversare l’Europa alla ricerca della felicità, però, non ha cambiato solo il suo stile di vita. Ma il suo modo di pensare. E se il suo passaporto rimane italiano, il suo concetto di identità nazionale si è trasformato, ampliandosi: “Forse mi sento più un cittadino europeo – racconta Antonio – anche perché non vivo più in Italia da tanto tempo e, anche se mi sono integrato molto bene, comunque non sono finlandese. La realtà è che non mi sento attaccato a una nazionalità sola”.

Dopo la laurea in fisica, poi, non si è fermato. “Ho finito il dottorato nel 2007, ho continuato a lavorare come fisico fino al 2009 e poi nel 2011 ho preso una nuova laurea, qui a Oulu, in ingegneria ambientale. Ora lavoro come ricercatore all’istituto Thule, che è il centro di ricerca ambientale associato all’università”, spiega. E aggiunge: “Io volevo lavorare all’università. Ho deciso di partire prima senza provare in Italia, senza dovermi infilare nel suo caos burocratico e in un sistema che giudico ‘polveroso’”.

Nonostante questo però il ritorno in patria non è escluso a priori. “Mai dire mai – confessa – non è che non voglia più sentir parlare dell’Italia, che mi piace tantissimo. Ma per il momento non ho lo stimolo, ho solo nostalgia delle persone e di alcuni posti. Mi manca la genialità e il calore umano delle persone, anche se quando torno, da ‘turista privilegiato’, mi infastidisce un po’ il provincialismo italiano: è un Paese con una storia incredibile, potrebbe avere tutte le carte per essere uno dei posti più aperti e internazionali del mondo”.

Diverso dalla Finlandia: “Una nazione strana e con più anime, una più aperta e una più chiusa in se stessa, dove però c’è più senso di comunità”. E le sue parole sono frutto di varie esperienze: “La più bella che questo Paese mi abbia mai offerto è stato il viaggio di due settimane zaino in spalla in Lapponia, quando sono stato ospite ‘improvvisato’ per 7 giorni di una famiglia che mi ha chiesto di rimanere con loro. Mi hanno fatto sentire a casa, sono stato invitato praticamente da tutto il paese, hanno cercato di fare del loro meglio per farmi sentire integrato, anche se molti di loro non parlavano l’inglese e io ero il primo italiano che avessero mai visto. Sono rimasto affascinato”.

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