Gli scalatori neanche ci provano, condizionati da un percorso rivelatosi poco selettivo. I favoriti aspettano troppo. E a Ponferrada alla fine sbuca Michal Kwiatkowski, giovanissimo polacco (classe ’90), bravo a cogliere l’attimo fuggente e a sorprendere tutti. È lui il nuovo campione del mondo di ciclismo. Non un illustre sconosciuto, perché il corridore che viene dall’Est è già stato campione del mondo juniores a cronometro nel 2008, e quest’anno aveva fatto terzo alla Liegi- Bastogne-Liegi. Ma in pochi lo avrebbero pronosticato davanti a Gerrans (secondo) e Valverde (terzo), nuovo padrone della maglia iridata.

Male invece l’Italia: in ombra Nibali e Aru, il migliore alla fine è Sonny Colbrelli, tredicesimo sul traguardo al suo primo mondiale da professionista. Agli azzurri certo non si può rimproverare la buona volontà. Semmai sono mancate un po’ di tattica, ma soprattutto gambe e qualità: sono quelle a far la differenza, alla fine. E l’Italia oggi non le aveva. Ciononostante, è stata la nostra nazionale a fare la corsa, almeno fino all’ultimo giro quando sono entrati in gioco i big. Gli azzurri erano consapevoli di doverle tentare tutte per avere speranze di vittoria. E hanno provato ad anticipare i favoriti (i vari Degenkolb, Gerrans, Sagan) giocando d’attacco.

La prima vera scossa è arrivata al decimo giro, con un’azione di gruppo per scremare il plotone. Poi gli azzurri sono entrati in una fuga a dieci con Giampaolo Caruso e Giovanni Visconti. Un segno di presenza forte, ma forse non la strategia migliore, perché sarebbe stato meglio concentrare le energie nel rendere la corsa dura da dietro. Tra l’altro Visconti era anche una delle possibili carte da giocarsi in uno sprint a ranghi ristretti, e invece Cassani ha preferito giocarsela subito. La terza freccia azzurra è stata quella di Alessandro De Marchi, forse anche la più convincente: il friulano è partito ai -25, e insieme al francese Gautier, al danese Andersen e al bielorusso Kyrienka è arrivato a maturare un vantaggio anche di 50 secondi sugli inseguitori. Il problema è che dietro il gruppo procedeva abbastanza compatto.

E quando è cominciato l’ultimo giro, i favoriti erano ancora tutti lì, in un plotone di circa 70 unità. Evidentemente il percorso non era poi così duro come lo avevano annunciato gli organizzatori. O alcune nazionali non hanno fatto abbastanza per renderlo tale (soprattutto la Spagna, ancora una volta timida nonostante i gradi da favorita e il vantaggio di correre in casa). Si è deciso tutto in 18 chilometri, con Degenkolb ben piazzato nelle prime posizioni, quasi a intimorire gli avversari con la sua stazza. E quando lo sprint sembrava essere l’unico finale possibile per una corsa vivace ma abbastanza scontata, ecco il colpo che non ti aspetti. Kwiatkowski anticipa tutti: il ricongiungimento con i fuggitivi, l’inizio dell’ultima salita, l’attacco dei big. Parte a sette chilometri dall’arrivo e sulle rampe di Mirador scava il solco decisivo. Otto secondi appena, sufficienti però per beffare tutti i big.

Joaquim Rodriguez, Van Avermat, Gerrans, Gilberte, Valverde fanno fuoco e fiamme quando è troppo tardi. E nessuno dà il cambio ai belgi, unici a tirare nel disperato tentativo di riprendere il polacco. Campione del mondo, davanti a Gerrans e Valverde. Il rimpianto dell’Italia è non aver visto mai protagonisti Nibali e Aru, da cui almeno una fiammata nel finale era lecito aspettarsela. Ma anche con un mondiale deludente la stagione appena conclusa resta ampiamente positiva per il ciclismo italiano. Vincenzo Nibali ha stravinto il Tour de France, Fabio Aru è la speranza per il futuro e già una certezza nel presente. Nelle grandi corse a tappe gli azzurri sono tornati grandi e lo saranno anche nelle prossime stagioni. Per le gare di un giorno, invece, bisognerà aspettare ancora. Ma per il momento va bene così.

ORDINE D’ARRIVO: 1. Kwiatkowski; 2. Gerrans; 3. Valverde; 4. Breschel; 5. Van Avermaet; 6. Gallopin; 7. Gilbert; 8. Kristoff; 9. Degenkolb; 10. Bouhanni; 11. Cancellara; 12. Swift; 13. Colbrelli; 14. Matthews; 15. Navardauskas.

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