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Coalizione anti-Is: fronte unico, fini diversi

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I tagliagola del Califfato mettono tutti –o quasi- d’accordo. A Parigi, la comunità internazionale serra le fila contro gli jihadisti dell’Is. Ma se il nemico è comune, i fini dei membri della coalizione sono spesso diversi: le monarchie del Golfo vogliono tenersi al riparo dall’avanzata integralista; l’Occidente vuole proteggersi dalla minaccia terroristica.

Preceduta dalla terza decapitazione d’un ostaggio occidentale, il cooperante scozzese David Haines, la Conferenza di Parigi sulla sicurezza dell’Iraq – una trentina di delegazioni – decide di appoggiare il governo di Baghdad con ogni mezzo, compreso “un adeguato aiuto militare“. Armiamo i nemici dell’Is, sperando ci siano poi amici.

Ma l’impegno ad “eliminare” la minaccia integralista, preso da Obama e ribadito da Cameron e altri leader occidentali ed arabi, non convince a pieno. Più di due americani su tre, il 68%, non ha fiducia nella strategia messa a punto dalla Casa Bianca di eliminare gli jihadisti sunniti dello Stato Islamico tra Iraq e Siria con raid aerei, delegando invece le operazioni di terra in Iraq all’esercito di Baghdad e ai peshmerga curdi e in Siria ai cosiddetti ribelli moderati.

Ma, pur bocciando la politica estera del loro presidente –solo il 38% la condivide-, gli americani, stavolta, sono dei ‘tentenna’ come lui: non credono all’efficacia della strategia, ma, per non inviare di nuovo truppe laggiù, tre su cinque la sostengono, in mancanza di meglio.

Il consulto di Parigi aggiunge un tassello al disegno di Obama di una coalizione anti-jihadista. Hollande avverte che “la minaccia è globale e la risposta deve essere globale”: senza perdere tempo, l’aviazione francese conduce la sua prima missione (aerei-spia Rafales decollano dalla base militare francese di Abu Dhabi e compiono una ricognizione sull’Iraq).

La volontà di sostenere l’Iraq con ogni mezzo, compreso “un adeguato aiuto militare”, è esplicito nel comunicato finale della Conferenza parigina –c’erano pure Onu, Ue e Lega Araba-. L’aiuto, viene precisato, dovrà essere “in linea con le necessità espresse dalle autorità irachene, nel rispetto del diritto internazionale e senza mettere a rischio la sicurezza della popolazione civile”.

Ai colleghi ministri degli Esteri, Federica Mogherini ricorda che l’Italia ha già inviato i primi due carichi di armi e munizioni ai guerriglieri curdi, nel nord dell’Iraq. Ma Roma vuole anche giocare un ruolo politico, contando su “buone relazioni con tutti i Paesi della regione”.

Nella coalizione, non entra l’Iran: Teheran non raccoglie l’invito di Obama alla collaborazione perché –dice la guida suprema Ali Khamenei– gli americani “hanno le mani sporche di sangue”. E la Turchia ne resta ai margini. Mentre la Siria ne viene ostentatamente tenuta fuori.

Gli iracheni incassano aiuti e sostegno. Ma se il presidente Fouad Massoum, un curdo, sollecita altri raid aerei perché “senza una pronta risposta lo Stato islamico occuperà altri territori”, il neopremier, lo sciita Haider al Abadi mette uno stop ai bombardamenti sulle città in mano all’Is, per scongiurare vittime civili.

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