Angelo Mai, marzo. Cinema Volturno, luglio. Teatro Valle Occupato, agosto. E ultimo lo sgombero del Cinema America. Il messaggio arriva forte e chiaro: nell’Italia di Renzi non c’è spazio per il pensiero critico. Non c’è spazio per le differenze, per il pluralismo. Un pesante cambio di clima politico, quando solo tre anni fa sulla difesa dei beni comuni si vincevano referendum.

Mentre ancora bruciano sulla pelle gli sgomberi, le inchieste e gli ultimatum, proviamo a rilevare alcuni fili intrecciati tra gli eventi degli ultimi mesi e che delineano – se non un disegno ragionato – certo un mutamento nello “spirito del tempo”.

Difendere la rendita

Tutti questi spazi culturali si trovano nel centro storico di Roma. Presenza eccentrica e vitale tra i palazzi del potere e le attività commerciali, destinate ad un turismo sempre più mordi e fuggi. Il centro storico è nei decenni divenuto inospitale: senza più residenti, senza più memoria, senza spazi di relazione. Un terreno preda di sfruttamento intensivo di beni culturali e rendita immobiliare, e fine.

Con una certa schiettezza, la presidente della Commissione Cultura del Comune di Roma Michela De Biase si era espressa a proposito del Valle in termini spaziali: proposta culturale interessante, ma vadano ad occupare un capannone in periferia. Come a dire: se non passano mezzi pubblici, prendete un taxi.

Versione nostrana del pane e delle brioches… Il centro della città è e deve rimanere per pochi. 

Tolleranza zero per la cultura indipendente

Il governo Renzi si annuncia come preludio all’atto finale di un lungo processo: i servizi pubblici assumono sempre più le fattezze della gestione aziendalistica. Pubblico e privato diventano indistinguibili. E questo vale con maggior forza nel settore culturale. Storicamente i governi del Pd, sia a livello nazionale che locale, amministrano la cultura come un campo in cui esprimere egemonia, attraverso lobbies e consorterie. La cultura è potere. Omologarsi è d’obbligo. Allora le esperienze del Valle Occupato e del Cinema America, nel difficile (e forse poco fruttuoso) spazio di mediazione conquistato, avranno un compito importante: non farsi assorbire all’interno della burocrazia istituzionale nel primo caso, né assoggettarsi ai meccanismi del mercato nel secondo. Incarnare uno spazio di alterità.

Colpire la capacità di produrre in maniera alternativa

I modelli di produzione culturale sperimentati sono gestiti dal basso e innovativi. E, incredibile, funzionano! Meglio dei teatri stabili o dei circuiti commerciali. È la capacità di autorganizzazione di generazioni con percorsi formativi articolati e che si ritrovano a vivere una condizione di precarietà permanente.

Qui la repressione utilizza strumenti ad hoc (Siae, controlli fiscali, permessi, …) e il richiamo retorico alla legalità è quanto mai stonato. Come non riconoscere le differenze tra uno spazio culturale no profit e un esercizio commerciale, tipo un pub di Campo de’ Fiori? Possibile che il monopolio della Siae, sanzionato a livello europeo, detenga legalmente il potere di parassitare il lavoro degli artisti? Gran parte delle difficoltà che stanno strangolando la cultura in Italia – teatri, cinema, editoria, compagnie e centri di produzione – dipendono da un sistema di leggi inadeguate. Perché allora si colpisce chi sta faticosamente aprendo altre strade? Altro che invocare una generica legalità: è necessario riconoscere che esistono economie esterne al commercio e al profitto. E predisporre efficaci strumenti di valorizzazione, come accade in altri paesi. 

Chi decide? Chi governa la città?

In un momento in cui la crisi delle istituzioni è profonda ed esse non riescono più a rappresentare ampi strati di società né a farsene interlocutrici, sono altri poteri a decidere: Corte dei Conti, Gip, proprietari, speculatori, con l’aiuto di una stampa che serve precisi interessi affaristici. Il caso dell’Angelo Mai è paradossale: la magistratura ordina il sequestro di uno spazio che l’amministrazione stessa ha dato in concessione, senza neanche informare Sindaco e istituzioni competenti. Nella vicenda del Valle hanno giocato un ruolo determinante Prefetto e Corte dei Conti, nonostante la creazione di una Fondazione Bene Comune sostenuta dai cittadini e un’interlocuzione iniziata a marzo con l’Assessorato alla Cultura. Lo sgombero del Cinema America di due giorni fa dimostra quanto poco valgano le parole di un ministro. Quando la politica viene scavalcata è la tenuta stessa dei meccanismi democratici ad essere logorata e gravemente ridotti gli spazi di espressione della società civile.

Nuove occupazioni

Sono in particolare le nuove forme di lotta, le più giovani, ad essere attaccate: esperienze che si muovono nell’orizzonte dei beni comuni, che sperimentano pratiche di democrazia diretta e parlano di nuovi modelli gestionali, che vivono la cultura come un diritto. Un ciclo di lotte diffuse in tutta Italia e che negli ultimi tre anni hanno articolato un linguaggio differente, aperto scenari imprevisti, immaginato paesaggi. 

Adesso si tratta forse di salvare i file su un altro hard disk. Interrogarci insieme su come tutelare non soltanto i luoghi fisici, ma il corpo vivo, le relazioni, un nuovo modo di fare politica dal basso che è stato capace di coinvolgere la città e parlare di nuovi diritti e nuove istituzioni.  

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