I lavoratori di oggi sembrano consapevoli del fatto che andranno in pensione con regole di calcolo delle prestazioni meno generose e più avanti negli anni. Ma hanno davvero capito i cambiamenti intervenuti nel sistema pensionistico pubblico? 

di  e , 1 luglio 2014, lavoce.info

 

Cosa sanno i lavoratori della pensione?

Qual è il grado di comprensione che gli italiani hanno dei cambiamenti in atto e di quelli prospettici nel sistema pensionistico pubblico? Rispondere a questa domanda è più che un lezioso esercizio accademico. Rendere i lavoratori correnti consapevoli delle implicazioni della nuova normativa sull’importo atteso della loro pensione e sull’età a cui potranno accedervi, oltre che un atto di trasparenza, è anche una politica cruciale per consentire loro di mettere in atto quei comportamenti compensativi nelle scelte di consumo e offerta di lavoro, tutt’altro che facili da programmare, ma necessari in un contesto radicalmente differente rispetto a quello passato. Fino a ora purtroppo non è stato fatto molto in questo ambito.

I lavoratori di oggi (e quindi i pensionati futuri) andranno in pensione con una regola di calcolo delle prestazioni meno generosa rispetto a quella di cui hanno potuto godere i loro genitori e con un’età più elevata. Se il primo fattore (riduzione delle prestazioni) lascia pensare che sia necessario aumentare oggi il risparmio per fare fronte alla riduzione futura della pensione pubblica, il secondo, allungando la fase attiva e riducendo quella di riposo, va nella direzione opposta. Alla luce di queste considerazioni lo scenario futuro per i lavoratori attuali deve essere fonte di preoccupazione, oppure le riforme pensionistiche sono effettivamente state in grado di mettere in sicurezza non solo la sostenibilità finanziaria del sistema, ma anche l’adeguatezza delle sue prestazioni? E soprattutto i lavoratori correnti quanto hanno incorporato nelle loro aspettative i cambiamenti in atto?

Aspettative e realtà dei fatti

Su questo ultimo punto è interessante il dato della tabella 1, che riporta il valore del tasso di sostituzione atteso della pensione pubblica rispetto all’ultima retribuzione percepita prima di accedere al pensionamento a partire dal 2000 e fino al 2012 su un campione rappresentativo della popolazione italiana.

Tabella 1 – Rapporto atteso tra pensione e ultima retribuzione per i lavoratori. Valori percentuali.

Fonte: Archivi annuali dell’indagine campionaria sui redditi e la ricchezza delle famiglie italiane.

Almeno nelle aspettative, il valore futuro atteso della pensione pubblica presenta un trend decrescente che coinvolge in maniera sostanzialmente omogenea e continua nel tempo tutte le categorie sociali ed economiche sopra rappresentate.
Nello stesso periodo, e sullo stesso campione rappresentativo della popolazione italiana, è possibile avere informazioni anche sull’età di pensionamento attesa. I risultati sono riportati nella tabella 2 e testimoniano che, accanto alla riduzione nel valore futuro della pensione, gli italiani si attendono, con intensità crescente negli anni, di andare in pensione sempre più tardi. 

Tabella 2 – Età di pensionamento attesa per i lavoratori. 

Se valutati come una misura della capacità dei lavoratori di comprendere il cambiamento di scenario in atto, i risultati delle tabelle 1 e 2 potrebbero, a prima vista, sembrare incoraggianti. Gli italiani sembrerebbero, con intensità crescente negli anni, essere coscienti che il futuro sistema pensionistico sarà meno generoso dell’attuale e che verrà loro richiesto di uscire dal mercato del lavoro a un’età più avanzata.

L’età giusta per la pensione

Il diavolo tuttavia si nasconde nei dettagli. Qui di dettagli importanti ce ne sono due ed è su questi punti che una capillare campagna informativa potrebbe migliorare il grado di comprensione dei cittadini sugli effetti delle riforme:
1) a parità di altre condizioni, aumentare l’età di pensionamento aumenta il tasso di sostituzione, in particolare per i lavoratori che appartengono al sistema contributivo;
2) l’aumento dell’età di pensionamento, soprattutto dopo la riforma del 2011, è stato molto intenso ed è destinato a crescere ancora nei prossimi decenni.
Non sembra che questi due effetti siano stati compresi appieno, almeno nel campione da cui provengono i dati qui esaminati. Per misurarne l’importanza abbiamo (ri)stimato, sugli stessi individui del campione e tenendo conto dell’evoluzione della normativa pensionistica nel corso dei dodici anni osservati, l’importo della pensione pubblica. La tabella 3 mostra l’andamento medio dell’errore delle aspettative rispetto alla pensione da noi (ri)calcolata. Un valore positivo implica una sovrastima della pensione (a parità di età di pensionamento), un valore negativo naturalmente implica una sottostima.

Tabella 3 – Errore medio nell’importo annuo della pensione pubblica. Valori in migliaia di euro a prezzi 2012.

Fonte: Nostre elaborazioni sugli archivi annuali dell’indagine campionaria sui redditi e la ricchezza delle famiglie italiane della Banca d’Italia.

I dati della tabella testimoniano nuovamente la presenza di tendenze comuni a tutte le categorie analizzate. Se all’inizio del decennio scorso le aspettative sul livello futuro delle pensioni erano ancora ottimistiche, con il passare del tempo (e con il progredire delle riforme) le cose sono cambiate, tanto che nel 2012 il segno dell’errore diventa negativo, ovvero in media gli individui del campione sottostimano l’importo della loro pensione futura.
Da cosa deriva un cambiamento così deciso? Sicuramente il contesto economico generale (bassa crescita, crisi finanziaria, disoccupazione crescente) può aver giocato un ruolo importante. Tuttavia, aspetti più strettamente legati alla comprensione delle riforme hanno ugualmente un peso non trascurabile.

A supporto di questa tesi, la tabella 4 mostra quale è la percentuale di lavoratori del campione che, rispetto alla normativa vigente dell’anno, dichiara che andrà in pensione a un’età che risulta essere compatibile con la legge in vigore. All’inizio del decennio scorso tre quarti dei lavoratori era in grado di prevedere correttamente la propria età di pensionamento e la quota aumenta fino al 2008. Al contrario, la percentuale di coloro che prevedono correttamente la loro età di pensionamento crolla decisamente nel 2010 e nel 2012. È proprio a partire dal 2010 che, surrettiziamente, il Governo allora in carica ha legato l’età di pensionamento alle aspettative di vita, portando verso i 70 anni l’età di pensionamento di vecchiaia nel 2050. Questo non marginale cambiamento di prospettiva, riconfermato e reso ancora più rigido dalla riforma del 2011, non sembra ancora essere del tutto presente nella mente dei lavoratori italiani.

Tabella 4 – Percentuale di lavoratori che dichiarano un’età di pensionamento coerente con la normativa.

Fonte: Nostre elaborazioni sugli archivi annuali dell’indagine campionaria sui redditi e la ricchezza delle famiglie italiane della Banca d’Italia.

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