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Nasa, ecco i test per sbarcare su Marte con un “disco volante”

L'agenzia spaziale Usa fa le prove per poter forse un giorno atterrare su Marte grazie a Ldsd, una sorta di disco volante frutto delle nuove tecnologie, che dovrebbe sostituire gli attuali sistemi di atterraggio. Ldsd è un acronimo e sta per Low-Density Supersonic Decelerator, ovvero Deceleratore supersonico a bassa densità
Nasa, ecco i test per sbarcare su Marte con un “disco volante”
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La Nasa fa le prove per poter forse un giorno atterrare su Marte. Come? Grazie a Ldsd, una sorta di disco volante frutto delle nuove tecnologie, che dovrebbe sostituire gli attuali sistemi di atterraggio. Ldsd è un acronimo e sta per Low-Density Supersonic Decelerator, ovvero Deceleratore supersonico a bassa densità. 

 

Il volo sperimentale è stato effettuato nella stratosfera e nella mesosfera e, nonostante qualche problema di apertura dell’enorme paracadute sovrastante il modulo Ldsd, gli scienziati considerano l’esperimento un “vero successo”.

 

Dopo il decollo alle 11.40 della mattina dal Pacific Missile Range Facility nell’isola hawaiana di Kauai, modulo è atterrato nell’oceano. Il costo dell’operazione è stato di 150 milioni di dollari. 


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Che la Nasa puntasse a trasformare la fantascienza in scienza era emerso anche febbraio quando si diffuse la notizia che era in cantiere un progetto per realizzare, insieme alla Us Air Force, un drone, velivolo privo di pilota comandato a distanza, dalla classica forma a disco volanteL’idea della Nasa è sperimentare alcuni sistemi alternativi di propulsione al plasma, un gas ionizzato, considerato dagli scienziati una sorta di quarto stato della materia, dopo quello solido, liquido e gassoso. “Si tratta di un disco e di un elicottero insieme – commentava Subrata Roy, ingegnere aerospaziale dell’Università della Florida, ideatore del progetto -. Un’idea nuova che, se dovesse avere successo, potrebbe essere rivoluzionaria”. Concepito per la videosorveglianza terrestre e capace di decollare verticalmente, “potrebbe essere perfetto – secondo lo studioso americano – anche per l’esplorazione spaziale”.

 

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