Un unico albo dove saranno inseriti sia i segretari comunali entrati grazie a concorso pubblico e con molti anni d’esperienza, sia i direttori generali assunti dai sindaci con contratti privati solo negli ultimi cinque anni. E’ l’ipotesi che mette al centro del mirino 3300 segretari comunali, contenuta nel disegno di legge delega che riformerà la pubblica amministrazione. In precedenza si era parlato della totale abolizione del ruolo di segretario comunale, rientrata dopo la pressione dei sindacati e con la rassicurazione del ministro Marianna Madia. Ma al momento di sicuro c’è l’eliminazione dei diritti di rogito annunciata dallo stesso presidente del Consiglio Matteo Renzi. E anche una bozza che circola in ambiente sindacale e che vede la costituzione dell’albo di “dirigenti apicali” da scegliere, appunto, sia tra i vecchi segretari comunali che tra i direttori generali “esterni” già presenti in molti Comuni con oltre 100mila abitanti tramite incarico conferito esclusivamente e discrezionalmente intuitu personae (cioè sulla fiducia) dai sindaci, senza alcun concorso. “Ma siamo una categoria al servizio della nazione, non del politico di turno – replica al fattoquotidiano.it Barbara Casagrande, segretario nazionale Unadis – per ricoprire il nostro ruolo siamo stati eletti in modo oggettivo, quindi con un concorso pubblico e dobbiamo continuamente riaggiornarci con nuovi corsi ad hoc. Abbiamo oltretutto una funzione di tutela della minoranza degli elettori, mentre un direttore generale o un futuro dirigente apicale che non proverrà dall’ex albo nazionale dei segretari comunali ricoprirà quel ruolo per una scelta della maggioranza politica del consiglio comunale di turno. Non ci trovo principi di imparzialità in questo”.

Il segretario comunale dipende direttamente dal ministero dell’Interno ed è una sorta di “cancelliere” del Comune (e, finché c’erano, delle Province) con compiti amministrativi e giuridici, ma soprattutto funge da garante rispetto alle norme di anticorruzione e trasparenza nelle istituzioni comunali. “Praticamente verrà aperto l’albo a tutti e dirigente apicale potrà diventare chiunque – dice al fattoquotidiano.it Vincenzo Pecoraro, segretario comunale di tre Comuni del Frusinate, “stiamo combattendo una battaglia di dignità per la nostra figura professionale: paghiamo penalmente se un collega si fa corrompere, per contenere le spese ci hanno accorpato due o più Comuni allo stesso unico stipendio tanto che io percorro senza rimborsi ogni giorno 200 chilometri tra un Comune e l’altro. Quando Renzi dice di aver tagliato i diritti di rogito rispondo che per diritti di segreteria negli ultimi 4 mesi ho ricevuto una cifra di 2500 euro lordi, non mi sembra certo una cifra da capogiro e poi ora per quelle pratiche toccherà andare dai notai e le cifre lieviteranno”.

I direttori generali, circa 68 quelli in carica a tutt’oggi, sono una figura manageriale atipica, legata a doppio filo con il primo cittadino che li nomina, con la funzione di controllo e coordinamento delle operazioni interne all’amministrazione pubblica per i Comuni sopra i 100mila abitanti. Un ruolo che nel computo degli stipendi base varrebbe quanto 5 o 6 dirigenti eletti con concorso e già presenti in organico, attestandosi a retribuzioni tra i 150mila e i 250mila euro l’anno. E’ dell’autunno scorso il tentativo dell’allora ministro degli Affari Regionali, Graziano Delrio (oggi sottosegretario a Palazzo Chigi) di inserire un emendamento al decreto legge sul pubblico impiego per abbassare a 50mila il numero minimo di abitanti per consentire a un Comune di usufruire di un direttore generale, dopo che nel 2009 era stato il ministro Giulio Tremonti ad alzare l’asticella a 100mila per contenere le spese di consulenze esterne. I segretari comunali che non verranno scelti come dirigenti apicali potranno chiedere la mobilità presso altri enti locali. Chi invece non potrà per nulla entrare nemmeno nel nuovo albo sono i 260 giovani vincitori dell’ultimo corso-concorso per segretari comunali, laureati e selezionati al termine di una procedura lunga 5 anni per il semplice fatto che da ben 6 mesi, nonostante vi siano ben 7,8 milioni di euro già stanziati, il ministero dell’Interno non consente loro di espletare il corso di formazione previsto da bando e, quindi, la conseguente iscrizione all’Albo.

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