Una lodevole iniziativa di Unioncamere e Google Italy, con il coordinamento scientifico di Universitas Mercatorum, finanzia borse di studio per 104 giovani laureati e laureandi con la missione di “accompagnare le piccole e medie industrie italiane alla scoperta delle opportunità offerte dall’economia digitale”.

Obiettivo di questi 104 “giovani esploratori”, secondo il relativo regolamento, sarà quello di “favorire la digitalizzazione delle imprese dei territori e delle filiere produttive del made in Italy”, in accordo con l’Agenda Digitale europea, “diffondere la cultura dell’innovazione digitale e la crescita della consapevolezza dei vantaggi derivanti da un maggiore utilizzo dei servizi Ict avanzati”, e “promuovere l’immagine e le potenzialità delle produzioni tipiche del made in Italy portando le imprese sul web”.

Iniziative di questo genere sono assolutamente necessarie perché le carenze delle Pmi italiane nell’utilizzo dell’informatica sono soprattutto legate ai servizi di accompagnamento delle tecnologie informatiche.

I nostri industriali sanno infatti benissimo quando l’automazione tecnologica è in grado di assicurar loro un vantaggio competitivo sul mercato. E la storia della crescita industriale italiana è indissolubilmente legata all’aver capito quando le tecnologie potevano offrire queste opportunità.

L’automazione supportata dalle tecnologie dell’informazione comporta invece un salto culturale e concettuale che richiede un appropriato accompagnamento.

La meccanizzazione resa possibile dall’informatica è ben diversa dalla tradizionale automazione industriale che la società ha conosciuto fino ad ora. Quest’ultima è stata essenzialmente la sostituzione dell’azione fisica delle persone con la forza delle macchine, sotto la guida delle facoltà cognitive delle persone. Più recentemente sono stati meccanizzati con successo compiti burocratici di bassa complessità cognitiva: trasferire denaro da un conto ad un altro, acquistare un bene ed effettuarne il pagamento, controllare il livello delle scorte e ordinarne il rimpiazzo.

Quando sono in gioco compiti cognitivi più complessi l’automazione dell’informatica sta però tentando di sostituire l’intelligenza umana con una macchina: si tratta di un drammatico cambiamento di paradigma che la società contemporanea non ha ancora pienamente assorbito e compreso.

Non è sufficiente essere su internet con un sito web con funzioni di commercio elettronico. Queste funzioni sono sostituzioni meccaniche dell’operato degli esseri umani, ma una delle capacità essenziali dell’intelligenza umana è l’adattabilità ai cambiamenti dell’ambiente, la flessibilità nel gestire esigenze nuove o modificate. Le persone hanno una capacità innata di evolversi per fronteggiare l’evoluzione e di imparare dagli errori. I sistemi informatici non ce l’hanno.

Non basta quindi informatizzare i processi aziendali. Non è sufficiente, perché il mese dopo che i sistemi informatici sono stati installati dovranno essere modificati per adattarsi alle mutate condizioni al contorno. E questo processo di manutenzione va avanti senza fine, perché un sistema informatico non è un essere umano che si adatta ai cambiamenti ed impara dai suoi errori. L’automazione dell’informatica è un’automazione che richiede un costante accompagnamento da un adeguato livello di servizio.

Delle problematiche poste da questa meccanizzazione degli aspetti cognitivi ne ho discusso più in profondità altrove: ecco la presentazione ed il testo dell’intervento.

La necessità di tale accompagnamento è suffragata anche da studi economici. Ad esempio, Francesco Quatraro, economista dell’Università di Torino, in suo recente articolo ha analizzato per gli anni 1980-2003 l’utilizzo di tecnologie e servizi Ict nelle aziende italiane ed il loro impatto sulla produttività. Le conclusioni dell’articolo sostanziano le mie precedenti osservazioni che le aziende che non hanno competenze Ict possono difficilmente migliorare la loro produttività semplicemente investendo nelle tecnologie digitali. Esse hanno bisogno di un appropriato livello di investimento in servizi di supporto, o creando internamente settori con le necessarie competenze oppure acquisendole dall’esterno. Io sono convinto che la prima sia la scelta migliore, perché le aziende farebbero secondo me meglio ad avere al loro interno le competenze chiave per il loro sviluppo.

È sulla base di queste considerazioni che considero un’ottima iniziativa quella di questi 104 giovani esploratori: perché le Pmi hanno, più che di banda larga e di tablet di ultima generazione, soprattutto bisogno di cervelli fini e competenti.

Certo, se questi 104 giovani fossero stati selezionati tra quelli che all’università studiano l’informatica e le sue tecnologie e come inserirle nella società, invece che pescare tra i laureati di tutti gli indirizzi purché in possesso di “competenze informatiche di base con esperienza nell’uso del web… utilizzo di piattaforme di e-commerce, creazione di siti web” son sicuro che l’impatto sulle Pmi avrebbe l’occasione di essere molto più incisivo.

È pur vero che se uno ha solo un raffreddore o è incappato in una delusione amorosa, anche i consigli della nonna vanno bene, ma quando arriva un avviso di garanzia meglio rivolgersi ad un avvocato e non ad un qualunque laureato con esperienza di rapporti con l’autorità giudiziaria, e quando uno si rompe una gamba si consulta non con un qualunque laureato in medicina ma con uno specialista ortopedico.

Sarebbe quindi auspicabile che – come i policlinici universitari sono il riferimento di punta per apprendere la pratica e la scienza della medicina – così l’incontro tra domanda e offerte di competenze informatiche di eccellenza avvenga nei centri universitari focalizzati sullo studio e lo sviluppo dell’informatica e delle sue applicazioni.

Se in Italia si riuscisse a capire bene la differenza tra le generiche competenze relative all’alfabetizzazione o cittadinanza digitale e quelle specifiche necessarie per la realizzazione di servizi informatici avremmo fatto un enorme balzo in avanti anche in termini degli obiettivi che si pone l’Agenda Digitale.

Articolo Precedente

Genny ‘a carogna, un paese nel pallone

next
Articolo Successivo

Crisi economica: la perdita del lavoro come opportunità

next