C’è gente che a cui non piace Arancia Meccanica. O Quarto Potere. O Qualcuno volò sul nido del cuculo. Figuriamoci se mi sorprende il fatto che ci sia gente che detesta La Grande Bellezza. Il cinema non è una scienza esatta, grazie al cielo, e ognuno ama e guarda i film che meglio crede.

Ma è imbarazzante assistere alla crociata contro il film di Paolo Sorrentino che si è scatenata già lo scorso anno e che ha ripreso ancora più vigore dopo l’Oscar conquistato domenica scorsa.

Ora, cosa dovremmo imputare a La Grande Bellezza? Aver descritto una società romana decadente e priva di qualsiasi istinto vitale? Aver distrutto con poche battute le granitiche certezze di orde di giornalisti, intellettuali, socialite che succhiano da così tanti anni dalle mammelle di Roma da averle rinsecchite?

È proprio questo, secondo me, il punto di forza del film: far emergere dall’interno le contraddizioni e le ipocrisie di una casta di mangiapane a ufo, zombie parruccati che si trascinano da una prima cinematografica a un vernissage, da una presentazione di un libro a un party. Negli ultimi anni abbiamo parlato tanto, forse troppo, di rottamazione: hai superato i sessanta? A casa, senza passare dal via. Politici, funzionari pubblici, giudici, manager di Stato. Bene, ma non benissimo.

Nessuno, guarda caso, ha parlato di rottamare l’unica casta davvero esistente in Italia, quella dei giornalisti e degli intellettuali. Sarà perché i pezzi contro la casta politica spesso li scrivevano proprio loro, i parrucconi della penna. Chissà.

Paradossalmente, abbiamo dovuto persino sopportare i sermoncini dei grandi sacerdoti dell’ortodossia radical chic (Michele Serra in primis) contro la nostra generazione. La colpa di una società immobile, anchilosata e polverosa alla fine della fiera è nostra, mica di chi ha sempre puntato su idee fallimentari e deleterie, sconfitte dalla storia e dal buonsenso!

La Grande Bellezza ha il pregio di sottolineare questa assurdità, con il personaggio interpretato da Galatea Ranzi simbolo di tutta l’ipocrisia salottiera. Sia chiaro: essere radical chic non è di per sé un problema. Ognuno vive come vuole, con le convinzioni e i gusti che preferisce. Il problema subentra quando il radical chic pretende di dare lezioni morali, etiche ed estetiche al resto del Paese, e in Italia succede troppo spesso. E da troppo tempo. La vera rottamazione, dunque, sta tutta lì. Bisogna defenestrare, metaforicamente, tutti i Michele Serra che hanno reso la scena culturale e giornalistica italiana stagnante e spiaggiata stancamente sui suoi effimeri privilegi. In fondo hanno perso tutte le sfide che la modernità aveva posto loro davanti.

Ora basta: tocca a noi. E non perché siamo più giovani. Semplicemente perché siamo più bravi.

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