La chiamano “moneta virtuale” ed è uno dei temi caldi di questi giorni. Da quando Bitcoin ha raggiunto quotazioni record (oltre 1200 dollari per un bitcoin) i commenti sulla criptovaluta nata su Internet si sono sprecati. Ciò su cui si riflette poco è la triste constatazione del fatto che Bitcoin ha fallito i suoi obiettivi. Non certo per colpa dell’architettura del sistema, ma per l’uso che ne viene fatto.

Facciamo un passo indietro per chi non è ha mai sentito parlare. Bitcoin è una criptomoneta digitale, “inventata” da Satoshi Nakamoto, nome dietro il quale si cela probabilmente un collettivo di programmatori che ne hanno descritto le caratteristiche in questo documento. La peculiarità della moneta digitale è che viene creata attraverso l’utilizzo del computer. Semplificando il concetto, i bitcoin vengono “scoperti” dal PC eseguendo calcoli complessi attraverso l’uso del processore o (meglio) della scheda video. Gli stessi computer partecipano al controllo degli scambi di bitcoin tra gli utenti, garantendone la correttezza.

La sua nascita è stata salutata con grande entusiasmo dai paranoici del signoraggio, che hanno visto nei bitcoin la possibilità di utilizzare una valuta “indipendente” dalle politiche monetarie. Nulla di più sbagliato. È vero che Bitcoin punta a eliminare la mediazione di banche e istituti di credito, ma la sua funzione non è quella di eliminare il signoraggio. La creazione di un sistema automatico del controllo dei pagamenti online aveva un altro scopo. Le banche, infatti, agiscono di solito come garanti degli acquisti. Utilizzando un sistema automatico, viene meno la necessità di coinvolgerle e di pagare loro le commissioni (del 2 o 3%) su ogni transazione. Utilizzando i bitcoin, semplicemente, non c’è bisogno di pagare una commissione.

Rispetto all’idea originale, però, Bitcoin è finito piuttosto lontano dal bersaglio. La cosiddetta “comunità di Internet” ne aveva salutato la nascita pensando di utilizzarlo per i piccoli acquisti online. L’assenza di commissione e di procedure amministrative lo rendeva ideale per chi volesse vendere e acquistare oggetti di poco valore su Internet, creando un sistema di scambio alternativo al normale commercio elettronico. Ciò che nessuno aveva considerato era che spuntassero dei servizi che permettevano di convertire i bitcoin in altre monete “ufficiali”. Una mossa che ne ha snaturato completamente la funzione e ne ha reso impossibile l’utilizzo di cui sopra.

Da quando bitcoin è diventato convertibile, infatti, ha assunto tutti i peggiori difetti delle normali monete. La sua valutazione è infatti soggetta a fluttuazioni spaventose che l’hanno reso un semplice oggetto di speculazione, frustrando l’idea originale di usarlo come strumento per piccoli acquisti. Chi ha usato bitcoin in passato (quando valevano una manciata di dollari) per comprare poster fatti a mano o piccoli oggetti di artigianato, si trova ora a considerare che, con il cambio attuale, quel poster o quella statuetta di pasta di sale è stata pagata qualche migliaio di dollari. Roba da mangiarsi le mani e abbastanza per dissuadere chiunque dal ripetere una simile esperienza.

Qualcuno, però, i bitcoin li usa ancora per fare acquisti. Il “quasi anonimato” garantito dalla criptomoneta, che nelle intenzioni dei suoi creatori doveva essere poco più di un effetto collaterale della struttura “peer to peer”, lo hanno reso la valuta ideale per concludere transazioni illegali. Nel deep web, dove fioriscono i siti di e-commerce che vendono droghe, armi, carte di credito rubate e servizi di hacking, il bitcoin è l’unica moneta accettata.

Ora è arrivato l’interesse della grande finanza e addirittura cominciano a spuntare qua e là per il pianeta i primi bancomat per bitcoin. Se volete un poster disegnato a mano, usate PayPal. 

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