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Politici e senso civico: quando la rete di scambi non costituisce reato

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Un ministro compra una casa e un imprenditore ci mette 1 milione a sua insaputa? Nessun problema, il fatto non costituisce reato. Ci sono grane con il bar dell’ospedale? Fagli capire chi comanda: mandagli i controlli e vaffanculo! Giulia non si trova bene in carcere? Si chiama il ministro di Grazia e Amicizia e la si fa uscire. Il dittatore kazako vuol far rimpatriare la moglie e la figlia di un avversario politico? Occhio non vede, vicepremier non si dimette.

L’educazione civica fu introdotta a scuola da Moro nel 1958 ma basta sfogliare le pagine dei quotidiani di un giorno qualsiasi per rendersi conto che forse non viene insegnata come dovrebbe essere.

Un terremoto devasta l’Aquila? La notte stessa gli avvoltoi già volteggiano sulle macerie fiutando gli appalti. Giornalisti e pm disturbano la quiete del proprietario della fabbrica dei tumori? Ricordi all’ingegnere che il governatore non si è defilato. L’Antimafia chiede al presidente di deporre sul processo trattativa? Lui gli manda una cartolina perché non ha niente da dichiarare e comunque i nastri ormai sono andati.

Nessun illecito, nessun reato. Ma resta l’arroganza di una classe politica che manovra la cosa pubblica come fosse roba sua. Amici, parenti, clienti, criminali, massoni, mafiosi, il concetto stesso di reato si dissolve in una fitta rete di relazioni e scambi di favori che si estende fino alle periferie della società.

E anche quando il reato c’è, e si vede, c’è sempre un cavillo, un precedente, un decreto ad personam, un testimone comprato, un avvocato fatto senatore, un deus ex-machina che in extremis salva l’imputato. Sempre che nel frattempo non sia già scattata la prescrizione si intende.

Quali insegnamenti trasmette dunque la classe dirigente alla nostra comunità? Che tipo di esempio rappresentano per le nuove generazioni? Chi gli ha insegnato a scuola l’educazione civica? Ma sì, certo, i loro maestri Craxi e Andreotti! Non c’è niente di cui stupirsi quindi: in giurisprudenza esiste il principio della certezza della pena, in Italia quello della certezza dell’impunità.

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