Piastrelle di tutto il mondo, unitevi! Negli ultimi vent’anni del secolo scorso non c’era pavimento che non provenisse da qui, non c’era bagno senza questa ceramica, né cucinaterrazzocantina, pisciolo, anfratto, angolo comunque costruito e levigato. E qui a Sasòl non c’era famiglia che non avesse una mano nell’argilla, il tesoro rosso. Finirono le mani e si dovette chiamare aiuto: accorsero da ogni parte, soprattutto dal Maghreb. Forza lavoro, braccia robuste per i forni. Un salario e un letto per tutti. E la città ingrassò al punto da sfiorare i cinquantamila abitanti e averne circa diecimila estranei al suo dialetto, alla sua cucina.

S’andava così forte che non solo l’Italia, ma anche la Germania, l’Inghilterra, l’Europa intera e perfino New York si rifornivano di piastrelle lungo la via Emilia, e le code dei tir s’allungavano tra Parma e Modena fino a costituirne un tratto continuo. Lunghi pennacchi di fumo verso il cielo, i capannoni e le fornaci lavoravano a turni continui, e in basso, per strada, le puzzolenti scie figlie di irresistibili marmitte. Però tanti soldi per tutti. E tanta nebbia per tutti. 

Video di Giulia Zaccariello

La produzione precipita e il centro si svuota
Oggi sembra un altro mondo. Il traffico è scomparso senza che una sola bretella sia stata costruita, una corsia raddoppiata, uno svincolo ampliato. I tir si sono fatti così rari che paiono cinghialoni smarriti nella Bassa. Solo auto, molte di piccola cilindrata. Anche i magrebini (e gli albanesi, e gli ucraini e tutte le altre etnie dei soggiornanti) hanno ripreso la marcia verso altri lidi. La città si è rimpicciolita, oggi sono in 40mila ad abitarci. È più larga e molto più vuota. Non c’è quasi più la Lega, che perfino qui, dunque in periferia rispetto al baricentro lombardo, sfiorava il 18 per cento dei voti. Non c’è quasi più la nebbia, che era la indiscussa padrona di casa, e soprattutto non ci sono i soldi, almeno quelli di una volta. “Una caduta verticale di produzione, un mercato che si è fatto corto, domestico, un affanno che si protrae da due decenni oramai. La crisi è giunta prima qui e poi nel resto del Paese. Ed è giunta quando le piastrelle hanno imparato a farle anche gli asiatici e gli australiani, gli americani e gli europei. Il mercato si è fatto prevalentemente domestico, da 650 milioni di metri quadrati la quantità della produzione si è ridotta a 350 milioni, ed è stato un arretramento costante, forse inevitabile, certo straordinario”.

All’università di Modena Tiziano Bursi insegna marketing internazionale. Valuta la prova di nuova povertà a cui è sottoposto – oramai da parecchio tempo – questo popolo così ricco, comunista e lavoratore. “Intendiamoci: è un territorio ancora solido e strutturato, non ci sono i mostri e i vuoti e le disgrazie che altrove si vedono e si narrano. Ma la recessione si consolida, il mercato è asfittico senza che all’orizzonte si veda un’inversione di tendenza. Resiste l’export a medio raggio, ma interi mercati si sono persi definitivamente”.

A Sassuolo, la capitale della ceramica, teatro di due grandi migrazioni, quella del sud Italia, primi anni ‘70, e l’altra – vent’anni dopo circa – africana e dell’est europeo, la vita è cambiata e pure le abitudini. Era il perno della società piccolo- industriale, della comunità sviluppata a rete sovracomunale, il distretto appunto, avanzata e progressista. Oggi si ritrova infragilita, piena di paure. Se non c’è futuro i pensieri e i discorsi vanno sempre alla memoria, come due anziani che ai giardinetti rievocano la giovinezza, le belle ragazze, il tempo della balera.

Eppure Sassuolo non è stata mai nota come oggi. S’è perso il lavoro ma c’è il calcio, questo miracolo di squadra che è pure senza stadio è giunta fino in serie A. La storia insegna, diceva Gramsci, ma qualche volta sorprende anche: fuori nevica però dentro un po’ si fa festa. Chi l’avrebbe mai detto e neppure sognato? “È un orgoglio indiscutibile, siamo veramente fieri”, dice la signora Rosa, al mercato di piazza Garibaldi mentre passa in rassegna un plotone di maglie intime: “Sa, viene il freddo e bisogna coprirsi bene alla mia età”. Sassuolo, anche questa però è sfortuna, può vedere i suoi calciatori solo quando si allenano. Il campo non è omologato per la massima serie e il signor Mapei, patron della Confindustria e della squadra, ha deciso di trasferire bottega alla domenica in quel di Reggio Emilia, al “Mapei Stadium”, per l’appunto. Resta l’allenamento per i concittadini, il lavoro settimanale, le sgambature e i dribbling di prova dei calciatori allenati da Eusebio Di Francesco, un tecnico promettente che sa farsi rispettare e che, pian pianino, sta conducendo la squadretta emiliana con onore fuori dalla giungla della zona retrocessione.

Andiamo a vederli questi giocatori, maglia nero verde a strisce verticali, accompagnati da Leo Turrini, gran cronista di motori ma frequentatore, per mestiere e per piacere, di tanti spogliatoi di calcio. “La storia del Sassuolo è unica e interseca la vita economica di questa città. Quando qualche anno fa la società era boccheggiante il sindaco del tempo la offrì al signor Sghedoni, il proprietario della Kerakoll, industria importante e marchio tra i più prestigiosi. La sua colla serve a inchiodare il pavimento in terra. Ma Sghedoni, nostro concittadino, rifiuta, non lo ritiene un buon affare. Quando viene a sapere della rinuncia da Milano si fa vivo Giorgio Squinzi. Lui è industriale di prima grandezza, e non è un caso che oggi sia il presidente di Confindustria, ed è il mago assoluto della colla, e la sua Mapei, che qui ha naturalmente una sede distributiva importante, decide di scendere in campo nel senso letterale del termine”.

Mister Mapei e il pallone. Gli unici conti che tornano – L’avventura dunque trascolora: da sportiva diventa una appendice della competizione industriale tra due marchi che pur nella differenza delle dimensioni (Mapei è più grande di Kerakoll) beccano nello stesso settore merceologico. Squinzi sopravanza Sghedoni e forse, in cuor suo, decide di provare a mostrare al competitor che la superiorità non è un dono divino ma talento terreno, pratica quotidiana. La prova gli va benissimo e forse, proviamo a dedurlo, conferma a Squinzi che lui è il più forte, il più bravo ovunque si applichi. La squadretta inizia a correre, avanza di grado anno dopo anno e da provinciale diventa nazionale. Oggi il Sassuolo gioca con la Roma, con la Juve, col Napoli. Il paradiso, insomma.

Il problema però è che oltre il pallone nulla più sembra avere fortuna. L’industria boccheggia, e pile di piastrelle si segnalano nei grandi piazzali, cubi incustoditi e soli, coperti dalla plastica ingiallita aspettano che qualcuno li porti via. Ma anche in municipio si fanno i conti con i debiti che sono giunti a una cifra inimmaginabile: cifra ancora non chiara, ma milioni e milioni di euro mancano all’appello e ritardano l’approvazione finanche del bilancio preventivo del 2013. Soldi già spesi. Il 30 novembre, nell’ultimo giorno utile pena il commissariamento, è stato convocato il consiglio comunale che deve trovare le coperture, le carte a colore per andare avanti. La giunta di centrodestra traballa, poco a poco i consiglieri di maggioranza se la sono svignata.

Al banchetto del comitato civico, tra la piazza e via Menotti, il corso principale, si distribuiscono le pagelle e si raccolgono le firme. I leghisti sono fuggiti, squagliati. Chi ha resistito alla passione della politica ha cambiato casacca. “Questo sindaco è totalmente incapace – dice Mauro Guandalini, ex del Carroccio – Sta facendo fallire la città. Pensi che l’Enel ci ha ridotto la fornitura perché siamo morosi. Al cimitero sono stati spenti i lumini, nessuno ha i soldi per pagare le bollette, l’azienda municipalizzata è alla frutta. Siamo a questo. Siamo al fallimento”. La sua voce s’innalza, il tono si fa drammatico. S’avvicinano due ragazzi di Sel, anche loro con le bandiere e il banchetto raccogli firme, e osservano muti.

Sassuolo celebra così in contemporanea il declino dell’industria e il funerale della politica che accompagna l’autunno della città. In periferia capannoni vuoti per la crisi della ceramica, in centro serrande abbassate per il default del commercio. Oltre gli outlet non si va. Se c’è una necessità ecco il mercatino: tutto a dieci euro. E poi i banchetti della protesta, le bandiere, i volantini. La ricchissima Sassuolo mette le mani nelle tasche e le scopre vuote. Si andava al cinema. Ora non più. Non esiste una sala. Si andava a ballare: negli anni d’oro edificarono qui il Moulin Rouge padano, convocarono Walter Chiari per dare un avvio strepitoso alle danze e alle risate. Il comico si fermò trenta giorni e ogni sera, di quelle trenta che visse qui, andava in scena. E ogni sera, fisso, il corpo di ballo del Piccadilly apriva le danze. Gambe all’infuori e tette al vento per operai e impiegati, per i compagni e per i padroni. Altro che Sassuolo, vieni a Las Vegas! Luci, motori (Maranello è a qualche chilometro con la sua Ferrari), donne, assegni, amori. C’era solo da scegliere come divertirsi.

L’assedio dei creditori e la resa dei cittadini – È tutto finito, e tutto è morto. Quella era un’altra vita e un’altra città. La città di Caterina Caselli, di Pierangelo Bertoli. Anni belli, ma passati. Persino l’immigrazione, soprattutto nordafricana, era riuscita, tranne pochi anche se acuti momenti di tensione, a espandersi senza violare l’humus locale, il senso del limite. Era questa città il più formidabile teatro della integrazione e della trasformazione del piccolo e provinciale ceto imprenditoriale in una grande rete multinazionale di marchi: Marazzi, Iris, Florin, Emilceramic. Una punta così avanzata che quando Gad Lerner dovette immaginare le prime puntate su Raitre di Profondo Nord, l’Italia vista da Milano, scelse le ceramiche di Sassuolo come segno di una alterità profonda col resto del Paese.

Sassuolo è stata anche la palestra di Romano Prodi, il primo a studiare e poi scrivere del “miracolo delle piastrelle”. Da queste parti iniziò la campagna elettorale per la conquista di palazzo Chigi nel ‘96. Terra di amici, di fedeli collaboratori e soprattutto di indiscutibili elettori. Come sempre i guai non vengono mai soli. E tra le stranezze che la stanno conducendo in un purgatorio infinito anche la consegna, che oramai risale a quattro anni fa, di un ex missino alla guida della città. Il Pd è riuscito a perdere le elezioni. Ebbe persino il fegato di candidare a sindaco un forestiero in momentanea crisi di poltrona. Era stato presidente della Provincia e non si sapeva dove piazzarlo. I dirigenti del partito rifletterono un attimo e poi decisero: ma a Sassuolo! Sassuolo gli diede una gran legnata e tutto finì tra le lacrime progressiste. Peggio ancora per le proposte al Parlamento: per trent’anni non ha mai visto un deputato o senatore nativo dalle sue parti. Qui solo paracadutati anche se maleducati.

Solo dalle ultime politiche il centrosinistra ha un deputato suo: Matteo Richetti, il capobandiera dei renziani, giovane, dinamico conducator della riscossa. Però il centrodestra, benché miracolato, alla prova dei fatti si è rivelato incapace di raccogliere la fortuna elettorale. Il municipio è un fortino assediato dai creditori, il sindaco in preda a frequenti e giustificate crisi di panico: coperto di debiti, incapace di farvi fronte, è immobile come quei cipressi nei giorni d’afa. Non arretra e non avanza. Intanto è la città a pagare. Opere pubbliche ferme, bloccata anche la manutenzione ordinaria. In arrivo solo decreti ingiuntivi. La cassa però è vuota, bruciata nei forni dei capannoni dismessi. Tasche vuote, mani in alto. Anche Sassuolo sta per arrendersi.

di Antonello Caporale e Giulia Zaccariello

Da Il Fatto Quotidiano del 1 dicembre 2013
Aggiornato da Redazione Web il 19 gennaio 2014 

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