Il 7 gennaio è una di quelle date che fanno paura. Per chi ha un lavoro e si è permesso una pausa nel periodo natalizio – ed entrambi questi aspetti possono essere annoverati come un lusso in anni di crisi – la ripresa agita, genera ansie, rende inquieta la notte della vigilia (lavorativa). Avevamo affrontato questa situazione in un altro post che è coinciso con la ripartenza autunnale: in quel caso mi ero soffermato sui capi cattivi e il loro identikit in dieci profili.

Ma torniamo al presente. In queste ore si riaccendono i computer, si dimenticano le password e si rivedono i colleghi salutati con molto entusiasmo prima del natale. Okay, si ricomincia, ma come?  Secondo la società americana di consulenza Harris Interactive si sopportano sempre meno i colleghi rompiscatole. In cima ad una speciale classifica sui più rompiscatole, almeno secondo un campione di oltre duemilatrecento lavoratori intervistati, c’è il collega (o la collega, per carità) che parla a voce alta, seguito da chi usa suonerie fastidiose e rumorose e ancora seguito da chi parla al telefono in viva voce. Nella classifica si detesta e non poco anche la scarsa igiene personale e il camminare in modo pesante lungo il corridoio.

Già Jonathan Littman e Marc Hershon nel loro libro “Io odio la gente” tradotto in Italia da Corbaccio si soffermano sui rompiscatole, addirittura stilando una speciale classifica. Ecco sette profili che emergono:

Il rompiscatole sprovveduto: non porta mai la penna alle riunioni, ha dimenticato di leggere l’informativa, ha momenti di scarsa lucidità mentale.

Il rompiscatole pagliaccio: le barzellette sciamano dalla sua bocca come le api da un alveare, e lo si ritrova nel solito rito davanti alla macchinetta del caffè o nelle solite mail che riprende ad inviare.

Il rompiscatole ridens: ride per qualsiasi cosa, video di YouTube, foto carine di gatti, qualunque cosa accada in ufficio lui la trova divertente.

Il rompiscatole chiacchierone: le sue chiacchiere senza sosta sono un segnale evidente per tutti. Così la confusione in ufficio cresce a dismisura. Inutile schiarirsi la gola e tossire, secondo Littman e Hershon continuerà.

Il rompiscatole arraffone: quel tizio con le mani lunghe che vi prende le cose con tutta l’intenzione di non restituirvele. Spillatrici, matite, blocchi per appunti. Così dalla vostra scrivania sparisce di tutto.

Il rompiscatole invasore: è quello che invade il vostro spazio personale. Per Littman e Hershon spesso riuscite a vedergli i molari e siete sopraffatti dalla sua alitosi. E poi si imbuca in tutte le riunioni dove si mangia, una sorta di parassita aziendale.

Il rompiscatole radiocronista: non fa una mossa senza annunciarla a tutti. “Ricarico il toner!”. “Vado a pranzo al messicano!”. “Se qualcuno mi cerca sono in bagno”. Ci vuole poco a capire che sono tutte frasi retoriche che non presuppongono risposte (e comunque non c’è modo di zittirlo).

Littman e Hershon suggeriscono una strategia che presuppone il reclutare un collega anti-rompiscatole, una sorta di scudo protettivo. Ma c’è anche chi invita a tendere una mano ai rompiscatole: lo fa Jennifer Gruenemay su Lifescript, la piattaforma che offre online consigli sulla salute e sullo stile di vita. Così afferma Gruenemay: “Dobbiamo mostrarci carini nei confronti di queste anime tormentate e guardare oltre i loro modi sgradevoli. La tracotanza è uno scudo per proteggere un essere fragile e vulnerabile”. E voi come vi proteggete? E soprattutto quali altre figure da colleghi rompiscatole conoscete?

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