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Masterpiece, il concetto di talento al tempo dei ‘talent’

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Marcello D’Orta non c’è più, ma ci ha lasciato tanto, troppo per essere compreso. Il maestro napoletano è scomparso nella settimana di Masterpiece, che sarà certamente giudicata fighissima a Rai3. Il programma, o talent se volete, che deve scovare, allevare, lanciare i nuovi scrittori. Per due o tre giorni, nonostante le gran chiacchiere su Twitter e il modesto ascolto (5,14% di share), Masterpiece poteva essere dimenticato. L’ha ricordato la morte di D’Orta e una sensazione, forse di sincero pregiudizio, che un tipo come D’Orta, un uomo discreto, Masterpiece non l’avrebbe mai vinto. E dunque possiamo scoprire, ora, che forse non avremo un D’Orta, ma possiamo goderci Masterpiece.

La ricercata, elaborata e non travolgente (per i successi) Rai3 firmata Andrea Vianello è perfetta per ospitare una competizione che dovrebbe essere intellettuale (ma anche no) e deve fare spettacolo (per forza): altrimenti prendi il telecomando e scappi via. Ma perché un cuoco, un poeta, un romanziere, e anche un giornalista, deve piacere ai telespettatori per verificare se deve insistere con quella passione o cambiare mestiere? Se un ragazzo ha la penna di Alberto Moravia lo deve decidere il televoto, lo share o un insegnante ingaggiato per far divertire le famiglie sul divano e i fighetti su Twitter?

Un folle di straordinario talento come Gianni Brera non l’avrebbero nemmeno fatto entrare a Rai3. Beh, dipende. Come dicono a Napoli, la trasmissione ha allestito il presepe: ci devono essere i ragazzi dal passato complicato e i giudici dal tenore impietoso. Devono creare scontri, emozioni, empatia. Che siano reali o finti, non importa. Quanto è bello osservare la prova di scrittura in trenta minuti? Certo, se non la chiedete a un Lev Tolstoj è preferibile.

Masterpiece non è il principio di una strategia televisiva, è la fine. Il crepuscolo. Anche se per Vianello va sperato che sia l’alba infuocata. Ovunque, ma ormai lo strumento è antico, ti fanno giudicare da un giudice in diretta televisiva (o in leggera differita). Fra un po’ verranno a ispezionare la lavatrice per valutare se hai fatto bene o male il bucato. Può essere interessante: sapete quanto sapone viene sprecato? E il monodose non ha eliminato la piaga delle centrifughe di troppo.

È drammaticamente vero che i ragazzi siano sprovvisti di occasioni e opportunità per fare quel che desiderano fare, ma è altrettanto drammatico e tragicomico che se vuoi fare il cantante devi piacere a Simona Ventura (X- Fa ctor). La Rai ha pure istituito un giorno per il film d’Italia: 24 ore di riprese da inviare a Gabriele Salvatores. Come a dire: tutti possono fare un film, tutti e nessuno, Salvatores conosce i vincitori. Così invece di aspettare l’esito di un esame, di un colloquio, di una lunga e faticosa gavetta, la sberla o il complimento di un capo, se vogliamo fare qualcosa, e vogliamo scoprire se siamo capaci, dobbiamo chiamare l’Auditel.

Il Fatto Quotidiano, 24 novembre 2013

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