Riscontriamo in Italia, nell’interpretazione migliore, una diffusa insensibilità per i problemi dei risparmiatori. Giovedì scorso la Banca Centrale Europea (Bce) ha abbassato il tasso di riferimento allo 0,25%, consolidando così una situazione già molto critica.
Un investitore non sfugge infatti a un’imbarazzante alternativa. Se ricerca la sicurezza (titoli di Stato tedeschi e simili), deve accettare rendimenti sotto l’inflazione, il che implica il progressivo assottigliarsi del valore reale di quanto accantonato. Se vuole di più, deve accollarsi il rischio di perdite anche significative, implicite nei prestiti di Stati malconci (Spagna, Italia, Portogallo ecc.) e peggio ancora nelle azioni. Un altro mondo rispetto agli anni Ottanta e Novanta con facili guadagni persino coi Bot: nel 1986 fruttarono addirittura un 8,5% pulito pulito, tolta l’inflazione e senza imposte. Intanto gonfiava, altra faccia della medaglia, il debito pubblico.
Ora uno si sarebbe atteso reazioni negative alla decisione della Bce da parte dei sedicenti difensori dei risparmiatori, come è stato per esempio in Germania. Attesa prontamente delusa.
Peggio ancora sul fronte specifico della previdenza integrativa. Con tassi reali negativi, i soldi (Tfr compreso) a essa destinati non s’incrementano col passare degli anni, ma anzi si contraggono. In Germania la Lega degli Assicurati (Bund der Versicherten) denuncia che così “vengono puniti quanti risparmiano per la vecchiaia”, in sintonia per altro con l’associazione degli assicuratori: si veda Der Spiegel.
Zitte zitte invece tutte quelle cosiddette associazioni di consumatori italiane che sgomitano solo per entrare in bislacche fondazioni, comitati, tavoli paritetici ecc. finanziati e quindi al servizio di banche e assicurazioni. Zitti zitti anche i sindacati, occupati a spartirsi con le associazioni padronali le poltrone dei fondi pensione, incassando laute prebende: dire la verità ne frenerebbe le vendite.
Qualcuno penserà che io abbia la fissa della Germania, ma come si fa a prescindere da essa per tutto quanto riguarda la moneta comune, tassi d’interesse compresi? Comunque il punto non sono i meriti tedeschi, ma le colpe italiane.
Il Fatto Quotidiano, 13 novembre 2013
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