Uno stage, una sostituzione maternità e poi il ricatto: o lavori in nero o ti lasciamo a casa. Emanuele, 35 anni, ha preferito fare i bagagli e andarsene da Milano e dall’Italia. Destinazione Londra e dal 2011 Dubai. Qui zero tasse, il costo della vita è più basso e soprattutto ha un contratto di lavoro serio e non si deve vergognare di avere sul curriculum laurea e master. In Italia gli avevano consigliato di cancellare i titoli per avere più probabilità di essere assunto. Le restrizioni dell’emirato su religione, sesso, libertà di espressione e la particolare severità verso gli immigrati come lui smettono di essere una barriera se nel Paese dove è nato non gli è permesso fare strada.
“A Londra ho aperto il mio primo conto in banca. A Dubai ho preso la mia prima macchina” dice Emanuele, incredulo di non essere riuscito a fare entrambe le cose quando era in Italia. Negli Emirati Arabi si occupa di marketing in una società britannica di consulenza per progetti di gasdotti, pipeline e raffinerie di petrolio. “Guadagno 4.500 euro al mese e ogni anno lo stipendio aumenta tenendo conto dell’inflazione e della performance”. Qui Emanuele ha finalmente la possibilità di mettere da parte dei soldi. “Vivo in un appartamento di 105 metri quadrati a 650 euro al mese, senza spese condominiali, e il conto delle bollette è ridicolo, circa 12 euro ogni mese. A Milano, invece, pagavo la stessa cifra per un monolocale di 23 metri quadrati”.
Stipendio alto e carovita basso non sono gli unici motivi per cui è in fuga dal Belpaese, ormai ex. Quello che non ha prezzo per una persona è la dignità. Quindi riavvolge il nastro al 2006, l’ingresso nel mondo del lavoro, e spiega: “A Milano ho accettato uno stage di sei mesi per 400 euro mensili. Poi mi hanno proposto di rinnovarlo e ho rifiutato. Ho fatto un colloquio in un’altra azienda che mi ha preso per sostituire una maternità: otto mesi, 960 euro netti al mese. Scaduta la copertura o un contratto in nero o tanti saluti e grazie. Ovviamente me ne sono andato”.
Nel 2005 Emanuele frequenta un master in comunicazione all’Università di Bournemouth, sulla costa meridionale dell’Inghilterra. Un anno prima si laurea in Legge a Napoli, la sua città natale. Ma fare l’avvocato non fa per lui. “È frustrante pensare che il mio Paese non abbia creato le condizioni per chi come me avrebbe voluto restare, lavorare e mettere su famiglia dove è nato e cresciuto”. Indignato, nel 2008 cerca fortuna a Londra, dove viene assunto nella stessa società per cui lavora oggi a Dubai.
Certo, anche nella Penisola araba, non è tutto rose e fiori. Di grattacapi e disagi per gli expat ce ne sono a non finire. Tanto per dirne una: “Mi hanno comminato una multa per non aver pagato il parcheggio, ma non era vero, avevo la ricevuta sul cruscotto. Così sono andato dalla polizia per mostrare il biglietto elettronico. La risposta? Mi hanno detto che dovevo pagarla comunque: loro, infatti, sanno benissimo quali sono le targhe degli expat, e con i locali fanno finta di niente”.
Altro aneddoto: “In coda nei locali, al supermercato o dal meccanico servono prima la gente del posto, anche se sei arrivato prima tu, straniero”. Terza discriminazione: le diverse condizioni lavorative. “I locali lavorano quasi tutti nel settore pubblico e un neolaureato, senza alcuna esperienza, prende anche cinque mila euro al mese. L’expat, invece, viene pagato di meno, sempre”. E poi la libertà di espressione. Sui social network, ad esempio, non sei libero di criticare il governo o commentare usi e costumi del Paese. “Una ragazza occidentale – spiega – è stata multata per aver scritto di annoiarsi durante il Ramadan. Qui ti costringono a sentirti sempre un ospite e te lo devi mettere nella testa se non vuoi delle grane come queste”. Emanuele fa fatica anche a divertirsi nel tempo libero: “I concerti sono rari, al cinema vengono proiettati soprattutto film di animazione o commedie leggere, anche le scene di baci sono tagliate. E coi locali non ho stretto amicizia, è difficile”. Emanuele medita di trasferirsi a gennaio di nuovo a Londra, culturalmente più vicina. In Italia mai. “Però – conclude – ci torno volentieri da turista”.