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Anche il tornello va all’università

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A forza di parlare di classifiche e campionati delle università il rettore dell’Università Statale di Milano deve aver confuso il suo ateneo con uno stadio. Luca Vago ha infatti proposto di investire i soldi del finanziamento statale, già insufficienti per la normale amministrazione, per assumere vigilanti, installare telecamere, emettere tesserini e sostituire le porte di ingresso con tornelli, come si fa negli stadi.

Immaginatevi la scena: l’università, che oltre alle lezioni e alla ricerca ospita incontri, dibattiti e socialità varia, d’un tratto diventa sorvegliata come Fort Knox. Per far entrare i nonni alla discussione della tesi ci vorranno gli accrediti; per coloro che seguono le lezioni per passione, senza essere iscritti, temo non ci sarà niente da fare: senza il tesserino non gira il tornellino. Una trovata che è l’emblema di questo periodo: politici ed opinionisti stanno facendo a gara per giustificare sbarramenti e numeri chiusi, che trasformano istruzione e cultura in un privilegio riservato a pochissimi.

Ma qual è l’obiettivo del filo spinato nell’ateneo? Nientemeno che sradicare la mala pianta dell'”antagonismo”. La questione è bizzarra: negli atenei italiani si trovano decine di aule occupate e sale studio autogestite da collettivi studenteschi informali. In generale aprono spazi fisici e mentali per coloro ai quali il presente modello sociale, per i mille motivi sotto gli occhi di tutti, sta decisamente stretto. I rettori difficilmente apprezzano queste occupazioni (basti pensare al Bartleby di Bologna); ma raramente arrivano al punto di chiamare la polizia per chiudere con la forza questa miriade di spazi alternativi.

Dove stia la differenza tra la Statale e gli altri atenei è difficile a dirsi dal di fuori: di certo l’insistenza del nuovo rettore a regolarizzare il collettivo informale che autogestiva una ex libreria non ha contribuito a distendere gli animi. A maggio è iniziata un’escalation fatta di sgomberi e perfino cariche della polizia dentro l’ateneo.

La scintilla che ha fatto scaturire l’idea dei tornelli è stata la notizia di un episodio di violenza avvenuto il 14 febbraio scorso. Senza entrare nel merito dell’episodio, estremamente grave, pare ovvio che tentare di blindare la quotidianità di un ateneo con 60.000 studenti e migliaia di persone che vi lavorano non consenta di prevenire simili atti, quantomeno in generale. Forse a Vago basta la speranza che si svolgano fuori: occhio non vede, cuore non duole?

Ma ci sono altre domande che mi vengono in mente: è intellettualmente onesto imputare la responsabilità di uno specifico episodio di violenza a “certi gruppi” di persone “antagoniste”, criminalizzate in toto evocando lo spettro del terrorismo? E’ possibile che il rettore di uno dei più grandi atenei italiani proponga quindi di stravolgerne le caratteristiche funzionali e culturali, sprecando un bel po’ di soldi pubblici, al solo fine di fare piazza pulita degli “antagonisti”? Ma anche: possibile che in tutta la Statale non ci sia un professore che abbia qualcosa da dire pubblicamente al proposito?

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