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Homo Calderolis: molto meno che razzismo

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Non  sono razzista, portatemi Noemi Campbell e ve lo dimostro“. Lo ha detto Roberto Calderoli in quel di Pontida (in caso di maltempo la kermesse si sarebbe tenuta in una caverna) e poco gli importa che sia Noemi anzichè Naomi (basta che respirino).
La frase segue quella più celebre rivolta alla Kyenge “Quando la vedo penso a un orango“. Stop.
Secondo me il razzismo c’entra poco. Prendiamo Calderoli, appunto, non il politico: l’uomo (inteso come specie). Egli non è che il prototipo del maschio italico che emette sentenze su qualunque donna, brutta o bella. Culturalmente tale maschio si è formato al bar e si ostenta sessualmente potente. L’Homo Calderolis è l’uomo comune, il genere mediocre di se stesso, sentenzia sull’altro sesso per esorcizzare il proprio anche se: è brutto (molto), sgraziato nei modi e nei movimenti, predisposto al grasso (ma capace di precisare che è ritenzione idrica), ordinario, banalmente intelligente, ma forte degli unici due fattori che consentono a quelli come lui di avere rapporti carnali (anche se il suo forte sono le braciole): il potere e il consenso di corpi col cervello in f…
Di Homo Calderolis ce n’è una folla, ha una considerazione della donna per il quale il colore della pelle è discriminante tanto quanto l’esubero di cellulite, la metà femminile del mondo è per lui accessorio al bisogno, al massimo un gudget se consumato al di fuori del matrimonio.
Non è razzismo, è l’impossibilità di essere intelligente al punto estremo di credersi bello. Tanto che non capirà mai la straordinaria vignetta di Maslin del New Yorker.

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