Comincia a diventare impietoso, in modo del tutto inaspettato, il confronto “estetico” tra i due poteri che storicamente si sovrappongono in Italia: lo Stato e la Chiesa. Napolitano e Letta nella reggia di Monza e Francesco I al porto di Lampedusa. Il Presidente e il premier in una location esclusiva, appuntamento a inviti, circondato da una impenetrabile zona rossa. Il Papa su una qualsiasi jeep scoperta, in mezzo a persone qualsiasi, nell’isola più disgraziata del Mediterraneo.

Non entro nel merito dei discorsi e dei ruoli evidentemente diversi. Ma certo nessuno avrebbe pensato, fino a un anno fa, che l’icona pop al tempo della crisi sarebbe diventato un Pontefice che non sbaglia un colpo, sul piano della comunicazione, e dà la birra a tutto il colossale apparato di spin doctor e consulenti per l’immagine che si muove intorno alle istituzioni laiche.

Con un po’ di furbizia, e di feeling con l’immaginario collettivo, le istituzioni si regolerebbero allo stesso modo: l’Expò avrebbe potuto essere inaugurata tra gli operai, in un cantiere, parlando di lavoro, sviluppo e ripresa non a una platea di privilegiati ma ai manovali e agli stagisti, agli elettricisti e ai piccoli imprenditori dell’indotto. Qualcuno di loro avrebbe potuto anche avere voce, al microfono, accanto al Presidente e al premier.

E magari ottenere una risposta, a nome di tutti. Invece no. La nostra politica, le nostre istituzioni, non ci arrivano. E continuano a coltivare riti castali – l’incontro nella Villa Reale, la super-vigilanza, gli inviti selezionatissimi – che li rendono sempre più marziani. Speravamo un po’ tutti, fino a qualche anno fa, un una politica “più obamiana”. Ora scopriamo che a fare l’Obama, in Italia, non è un presidente del consiglio o un capo dello Stato, ma il Vescovo di Roma. Mah.

 

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