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Ai mercati non piacciono i social media

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All’orizzonte finanziario il futuro dei social media, fino a poco tempo fa reputati da molti uno dei settori trainanti di questo decennio, appare sempre più incerto. Riesce infatti difficile credere che fenomeni come Twitter possano riprodurre il successo della Apple, impresa che nei primi dieci anni del secolo ha letteralmente ammaliato gli investitori del villaggio globale.

Pochi di quelli tradizionali sembrano infatti interessati ai social media e quelli più avventurosi li considerano investimenti di brevissimo periodo, per guadagnare velocemente sulla base di aspettative di mercato ‘fortemente emotive e speculative’. Questo atteggiamento spiegherebbe perché il lancio e le quotazioni di Facebook, ad esempio, si sono rivelate troppo ottimiste.

Il problema di fondo è l’utilizzo dei social media come Facebook e Twitter, se questo è limitato alle interazioni personali e voyeuristiche degli iscritti, quindi di ‘intrattenimento sociale’, o se esiste una funzione ‘industriale’, in grado di migliorare, ad esempio, le comunicazioni commerciali o finanziarie del villaggio globale. Nel primo caso i veri guadagni sono limitati alla pubblicità, che su Twitter de facto ancora non esiste, ed alla vendita dei dati, che però in futuro sarà più rigorosamente regolata e quindi meno commerciabile. Nel secondo caso, invece, i social media avrebbero un valore reale, quantificabile in termini di produttività.

Per ora questa possibilità sembra remota. Grande reticenza, infatti, esiste nell’utilizzare i social media, ad esempio, quale piattaforma informativa per comunicazioni finanziarie tra gestori di fondi ed investitori. Ad esempio ai clienti l’idea di ricevere su un telefonino un tweet sulle mutate condizioni del mercato, del loro portafoglio o sul futuro dei loro investimenti non piace. Eppure questo potrebbe essere un sistema efficiente e veloce in grado di raggiungere in tempo reale un numero elevato di persone e quindi ridurre i costi di gestione.

Altro problema è la facilità con la quale gli hacker entrano nei social media e la scarsissima protezione offerta dai social media, principalmente a causa di una meccanizzazione eccessiva, che porta la clientela ad interagire troppo spesso con sistemi computerizzati e non con individui in grado di prendere decisioni importanti.

Alcune settimane fa il mio twitter @lanapoleoni è stato hackerato e nonostante abbia scambiato diverse email con “personaggi elettronici” ed abbia addirittura inviato copia del mio passaporto per verificare la mia identità, non sono riuscita a riprenderlo o a ricevere una risposta ‘umana’ alle mie email di protesta. Leggendo i commenti in rete ci si accorge che altri personaggi ben più conosciuti si sono trovati nella stessa situazione, ad esempio l’Huffington Post e Russell Crowe.

Sebbene i dati relativi all’uso dei nuovi social media, come twitter, nei mercati più avanzati, ad esempio quello americano, mostrano una crescita non indifferente (il 15 per cento degli adulti usano Twitter contro il 13 per cento a maggio del 2011), la facilità con la quale i social media possono essere penetrati e la scarsa sicurezza dei dati rendono, almeno per ora, difficile il loro uso commerciale ed industriale e ne confinano l’utilizzo all’interazione personale ed alle notizie dei ‘cittadini giornalisti’. Perfino l’uso per motivi politici e rivoluzionari è ormai limitato, dal momento che i server possono essere sospesi facilmente dai governi, come è successo in Egitto.

E’ quindi probabile che, almeno nel breve periodo, dunque, le quotazioni dei social media non regaleranno a chi li sceglie quale investimento alcun guadagno.

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