Marisa aveva 32 anni quando mi scrisse per la prima volta. Era arrabbiata, talmente infuriata che mi inviò una mail in posta privata, scritta senza pause. Da leggere tutta d’un fiato. Contestava uno dei post più ‘celebri’ che ho scritto per il mio blog ‘10 e più buoni motivi per diventare mamma oggi, nonostante tutto‘, dove invitavo le lettrici a raccontarmi la loro esperienza di maternità precaria. I commenti, raccolti poi in un unico post, furono per lo più del tono: ‘perché un figlio è un dono prezioso, e stai sicura che non te ne pentirai’. Una frase che ho condiviso, e che magari ho anche scritto da qualche parte.

Il messaggio di Marisa, invece, conteneva un’altra verità. La stessa che in seguito mi portò a parlare di non-scelta delle donne. “Belle parole – scriveva Marisa – ma così facendo regali falsi illusioni”. Lei, che alla sua età avrebbe voluto un figlio, considerava un azzardo troppo grande metterlo al mondo senza un lavoro. La scadenza dei suoi contratti aveva la meglio sulla scadenza del suo orologio biologico. Come darle torto? Perché scegliere di correre un rischio, laddove il rischio non dovrebbe essere neanche contemplato? Ma, soprattutto, da quando abbiamo iniziato a considerare la maternità un rischio (invece che un diritto)?

Ho riflettuto sulle false illusioni di cui parlava Marisa molte volte in passato, l’ho scritto in diversi post, mi sono arrabbiata con chi le alimentava dall’alto dei suoi privilegi. Mi sono confrontata e scontrata con la realtà dei numeri, con i rapporti su donne e crisi, stilati ogni anno (e ogni anno peggiori) come a rimarcare che se cerchi una via d’uscita, non puoi trovarla qui da noi. L’ultimo dossier, redatto da Save the Children, dal titolo emblematico Mamme nella Crisi, descrive un paese alla deriva, dove in due anni le nascite sono diminuite di 15mila unità e dove “quasi 2 donne su 3 sono senza lavoro se ci sono 2 figli, resta inattivo il 36,4% delle donne dai 25 ai 34 anni e solo nel periodo tra il 2008 e il 2009 ben 800.000 mamme hanno dichiarato di essere state licenziate o di aver subito pressioni a seguito di una gravidanza, anche a causa del meccanismo delle dimissioni in bianco”. Secondo i dati forniti dal Ministero del Lavoro, nel 2012 sono state invece 19.187 le dimissioni per maternità e paternità. Che siano il prodotto del fenomeno delle dimissioni in bianco non è difficile da credere.

Ma allora è vero che diventare madri, significa diventare povere? Sono stata invitata a parlarne sabato prossimo, sei luglio, a Roma, durante un dibattito dal titolo “La vita non aspetta: diritto alla maternità e alla paternità nell’era della precarietà”, organizzato nell’ambito della festa nazionale della Cgil giovani.

C’è chi sostiene che le donne, tutt’ oggi, non possano avere ancora tutto e che l’unica chiave di volta per superare la dicotomia donne e lavoro sia la flessibilità, cioè consentire alle madri di avviare forme di lavoro flessibile e autonomo, per dargli modo di gestire tempi, malanni, piscina, musica, feste comandate e riunioni dei genitori, senza rinunciare alla propria carriera. Questa analisi, però, pur estremamente condivisibile, viene dagli Stati Uniti, dove le cose funzionano diversamente. Negli Usa, secondo una ricerca del Pew Research Center, il 40% delle madri (cosiddette breadwinner) mantiene da sola la famiglia e ne è la principale (se non l’unica) fonte di reddito. Quello con cui l’Italia si trova a che fare, invece,non è solo la mancanza di flessibilità, ma la disoccupazione ed, eventualmente, la tutela delle lavoratrici autonome. Queste ultime, in aumento rispetto agli anni precedenti (1,15 milioni, secondo l’Istat), faticano a vedere riconosciuti i propri i diritti, a cominciare dal congedo per maternità. La pubblicazione degli ultimi dati ufficiali dell’Istat, secondo cui il tasso di disoccupazione in Italia ha segnato un record storico dal 1977  (3 milioni 140 mila disoccupati a maggio 2013, il 18,1% in più dello scorso anno, pari a 40mila persone senza lavoro ogni mese) rinforza il senso della mia domanda.

In questo contesto, è ancora possibile diventare genitori oggi? Lo chiedo a voi, lettrici e lettori di questo blog. Raccontatemi la vostra esperienza, scrivetemi qui oppure all’indirizzo email info@genitoriprecari.it e fornitemi spunti e stimoli per il dibattito di sabato prossimo ma anche per scrivere insieme il prossimo capitolo sulla maternità e sulla paternità precaria.

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