“Ho deciso di unirmi alla protesta e di scendere in piazza perché non approvo le azioni del nostro governo. Sono qui per riprendermi la mia libertà come cittadina turca”. Ceren ha solo 21 anni. E’ una brillante studentessa di biologia con le idee ben chiare su che tipo di futuro vuole costruire per sé e per il suo Paese. Non vuole rinunciare ai suoi diritti ed è per questo che da tre giorni dorme in una tenda e si è unita al presidio organizzato dai comitati studenteschi delle due Università di Eskişehir, Osmangazi e Anadolu, di fronte a uno dei più grandi centri commerciali della città.

Merve, studentessa a Eskişehir (Foto di Ilaria Biancacci)

Qui siamo ben lontani dagli scenari di guerriglia di Istanbul e Ankara. Non piove gas dal cielo e la polizia ha lasciato le strade da due giorni ormai, ma le proteste continuano da più di una settimana. Nate come sostegno per gli amici e i parenti che avevano deciso di salvare le sorti di uno degli ultimi polmoni verdi della megalopoli sul Bosforo, il Gezi park, hanno assunto poi tutto un altro significato. “Sono sicura che qualcosa cambierà – commenta Merve, studentessa di Business e management all’Università Anadolu di Eskişehir – Finalmente ci stiamo svegliando. Sembravamo quasi intorpiditi, ma adesso è arrivato il tempo per la nostra “rise up”. Erdoğan crede di avere ancora quel 50 per cento di voti e consenso che gli ha permesso di vincere le ultime elezioni. Ma non è vero. Tutta la Turchia sta scendendo in piazza per manifestare, siamo tutti uniti”. Anche se, nella notte, migliaia di persone hanno accolto il premier all’aeroporto Ataturk di Istanbul: “Chi dissente aspetti le elezioni per esprimersi”, ha detto Erdogan davanti ai militanti del partito conservatore. 

Özge, laureata in Sociologia e attivista

Davanti ad EsPark, il mostro di cemento che domina il quartiere universitario di Eskişehir, ci sono più di 50 tende. La strada è stata sbarrata, la polizia si è ritirata, ma il presidio continua. Gli slogan, urlati a squarciagola dal palco vengono scanditi da balli tradizionali. La bandiera turca sventola insieme ai ritratti di Atatürk. La municipalità sta offrendo acqua e cibo ai manifestanti e ha montato alcuni tendoni per offrire riparo a tutti coloro, che giorno dopo giorno, nonostante le piogge insistenti, si uniscono alla protesta. Adesso non si parla più solo di alberi. Si parla di democrazia. Il Partito per la giustizia e lo sviluppo in questi ultimi anni ha dominato il Paese e stretto sempre di più la popolazione in una morsa conservatrice che non ha fatto altro che limitare gli spazi e i modi di espressione.

“Ho deciso di unirmi alla protesta – dichiara Özge, giovane laureata in Sociologia e attivista – perché Erdoğan ha superato ogni limite. Possiamo fare una rivoluzione e cambiare le sorti del nostro Paese prima delle prossime elezioni. Tayyip ha commesso troppi errori e in particolare nel campo dei diritti per le donne. Attraverso una spirale conservatrice sta cercando di riportarci indietro, in un tempo in cui la donna deve essere l’angelo del focolare, deve dare alla luce almeno tre figli, indossare il velo e avere poche pretese. Sono qui come giovane donna, per lottare, per un futuro migliore, per evitare che il mio corpo e le mie opinioni vengano oppresse dal governo”.

Quando chiedo a Ceren cosa ne pensi delle dichiarazioni rilasciate dal premier, la sua risposta è pungente: “Erdoğan non fa altro che scappare. Quando qualche settimana fa c’è stato l’attentato nella città di Reyhanli è partito per l’America. Ha lasciato da sole tutte quelle famiglie che hanno perso i loro cari nell’esplosione, non ha portato conforto. E ora sta scappando di nuovo. Il suo Paese brucia, migliaia di persone protestano e rischiano di perdere la vita grazie alla brutale violenza usata dalla polizia, e lui cosa fa? Parte per il Nord Africa, lasciando dietro di sé una scia di dichiarazioni auto-assolutorie che dimostrano quanto poco conosce la sua nazione, e soprattutto la forza delle nuove generazioni”.

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