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Pasta italiana a rischio: la colpa è dei cambiamenti climatici

Il frumento duro del Belpaese in futuro potrebbe arrivare all'estinzione, rendendo la penisola dipendente dalle importazioni per uno dei suoi alimenti di base. Le temperature mediterranee sono mutate al punto che le coltivazioni di grano vengono spostate più al Nord
Pasta italiana a rischio: la colpa è dei cambiamenti climatici
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Bucatini, rigatoni e linguine specie in via di estinzione? In futuro forse sì. Almeno per quanto riguarda la produzione made in Italy. A causa dei cambiamenti climatici, infatti, le temperature mediterranee potrebbero diventare sempre più inospitali per le coltivazioni di frumento duro, ingrediente principe della pasta. Il rischio, insomma, è che la produzione del famoso nutriente debba essere spostata più a nord, abbandonando la sua terra d’elezione.

Il fenomeno è in realtà già in atto ma se la situazione dovesse peggiorare il nostro Paese dovrebbe diventare del tutto dipendente dall’estero. Finora il Belpaese, sin dagli anni Settanta, ha guidato la classifica degli stati produttori, grazie a una politica agricola che ha incentivato questa coltivazione nelle aree meridionali e insulari della Penisola fino a raggiungere, secondo Coldiretti, i 4,2milioni di tonnellate. L’aumento dei consumi ha però portato all’aumento delle importazioni, ora al 40% del proprio fabbisogno: insomma, italiana sì, ma la pasta è sempre più internazionale.

Il cambiamento “sta rendendo l’area mediterranea sempre più inospitale per la coltivazione del frumento che, spinta più a Nord, sperimenterà agenti patogeni e condizioni ambientali differenti”, ha spiegato Domenico Pignone dell’Istituto di genetica vegetale di Bari. Per ora il rischio di un ‘espatrio’ definitivo del prezioso ingrediente è un’ipotesi remota ma nel frattempo si stanno già sperimentando soluzioni tecnologiche per risolvere il problema. “È necessario mettere a frutto strategie di miglioramento genetico tali da permettere lo sviluppo di un prodotto di qualità – ha spiegato Pignone – in grado di dare produzioni sostenibili nell’ambito dei nuovi scenari”. Degli esempi positivi già ci sono. Le sperimentazioni sulla varietà Normanno, resistente alle basse temperature (molto coltivato in Emilia), o l’Aureo, coltivato nel sud Italia in climi piuttosto caldi, hanno prodotto buoni risultati. La sfida al grano italiano 2.0 è aperta.

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