Adottare politiche gay-friendly per fare uscire le aziende dalla crisi. E’ la ricetta che emerge da uno studio condotto dal professore Kirsten Cook della University of Arizona, che ha analizzato i potenziali benefici per le società che aprono agli omosessuali: da un ambiente di lavoro più rilassato a un turn over di dipendenti meno frequente, con conseguenze positive anche sui bilanci. La ricerca, che raccoglie il risultato di diversi studi, sottolinea che i dati raccolti “dovrebbero essere d’interesse per tutti i dirigenti”, perché “è chiaro il beneficio finanziario per le imprese che vanno incontro ai gay”.

I vantaggi si concretizzano in un “aumento della produttività e della profittabilità, soprattutto nei settori che richiedono un lavoro più qualificato”, avverte il report, che si basa sui dati raccolti dal 1996 al 2009 su 4.619 aziende. Aumenta, per esempio, la competitività delle aziende, che sono libere di assumere i più meritevoli, senza fare discriminazioni sull’orientamento sessuale. Un altro vantaggio importante è la riduzione dello stress in ufficio. “Creare un ambiente di lavoro basato sulla diversità favorisce la soddisfazione lavorativa dei lavoratori sia omosessuali sia eterosessuali”, avvertono gli esperti, “portando a una maggiore produttività e profittabilità per il gruppo”.

E non bisogna trascurare il potere d’acquisto della comunità omosessuale, noto anche come “pink dollar“, che raggiungerà quota 835 miliardi di dollari nel 2014. “In media gli omosessuali hanno più reddito degli eterosessuali”, spiega lo studio. Anche su questo fronte, le aziende stanno fiutando il business e aprendo gli occhi. Nel 1994 le società nell’elenco Fortune 500 che miravano la pubblicità sui clienti gay erano soltanto 19, mentre sono salite a 175 nel 2005. I vantaggi per le aziende che aprono agli omosessuali, secondo Kristen Cook, sono quindi evidenti. E, quando si tratta di aumentare gli utili, i grandi gruppi americani non si tirano di certo indietro.

Nel 1996 la percentuale di società che adottavano politiche gay-friendly era inferiore al 5 per cento, mentre nel 2009 è schizzata a oltre il 20 per cento, ovvero una su cinque. Non solo. Alcune tra le aziende più grandi, dalle tecnologiche Facebook e Twitter alle grandi banche come Goldman Sachs e Morgan Stanley, si stanno battendo per convincere la Corte suprema a dichiarare incostituzionale il Defense of marriage act, la legge firmata nel 1996 da Bill Clinton che non riconosce il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Filantropia? No, questione di business. “Trattare in due maniere diverse i dipendenti etero e omosessuali costa troppo a livello amministrativo – spiegano i dirigenti – e se i secondi vedono riconosciuti i loro diritti sono più contenti e lavorano meglio”.

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