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Presidente della Repubblica, perché Marini sì e Gabanelli no?

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Come dovrebbe essere il Presidente della Repubblica Italiana?

Secondo Renato Brunetta, capogruppo del Pdl alla Camera, intervistato da «Radio Anch’io», su Radio Uno, «Ci vuole una figura, come ha sempre detto il presidente Berlusconi, che non divide ma che unisce, una figura capace di rappresentare l’Italia a livello internazionale, una figura che abbia esperienza istituzionale, una figura che abbia una storia [una qualsiasi? ndr.], una competenza [quale? ndr.]».

Secondo la Costituzione, può essere eletto ogni cittadino che abbia compiuto cinquanta anni d’età, però la norma viene quasi sempre interpretata per eccesso e i nomi più gettonati sono di cittadini maschi, ben ultracinquantenni, considerati, a torto o a ragione, saggi e venerabili, o sulla strada di diventarlo.

L’aspirante deve godere dei diritti civili e politici, che vengono spesso tolti ai delinquenti conclamati, e, almeno fino ad oggi, e limitatamente all’incarico di Presidente della Repubblica, nessuno ha ancora sostenuto che si tratti di un’insopportabile discriminazione nei confronti dei cittadini delinquenti.

Non risultano richieste competenze particolari: nè la conoscenza della Carta Costituzionale, nè qualche rudimento di presidentologia che dimostri la consapevolezza delle caratteristiche e delle facoltà tipiche dell’incarico.

Inoltre, anche se la Costituzione non lo prevede, viene comunemente giudicata indispensabile un’esperienza politica (quindi di parte), ma viene anche auspicato un nome condiviso (quindi non troppo di parte).

Il ritratto che ne esce è quello di un maschio anziano che abbia dimostrato di saper tenere politicamente il piede in due scarpe, o due piedi in quattro scarpe: una vecchia e furba anguilla (nessuna allusione a Giuliano Amato insignito dell’Anguilla d’Oro 2012 dal comune di Orbetello) capace di barcamenarsi e di non dispiacere a nessuno dei parlamentari suoi elettori.

Risultano quindi comprensibili lo sconcerto e l’incredulità che hanno accolto la proposta di candidare al Quirinale Milena Gabanelli. La scelta è stata interpretata da molti come una manifestazione di ingenua speranza, o una boutade, uno scherzo, una provocazione grillesca, senza storia e senza futuro.

Eppure, se i parlamentari si sentissero davvero i rappresentanti dei cittadini che li hanno eletti, e non un’oligarchia di nominati, attenti solo agli equilibri e alle gerarchie partitiche, non accantonerebbero la candidatura Gabanelli come una battuta, ma si preoccuperebbero delle motivazioni alla base della scelta di tanti italiani.

Negli Stati Uniti, Ralph Nader, un paladino dei diritti dei consumatori che presenta qualche analogia con Milena Gabanelli, si è candidato più di una volta alla Casa Bianca, in un partito terzo rispetto a Democratici e Repubblicani o come indipendente, il tutto in mezzo a polemiche e boicottaggi per i voti che riusciva a sottrarre al partito Democratico, come in Florida nel 2000, quando fu accusato di aver provocato la sconfitta di Al Gore e il successo di George W. Bush. Un’esperienza simile a quella toccata a Grillo e al Movimento 5 Stelle ai quali gli altri partiti attribuiscono la colpa delle loro disgrazie elettorali, senza capire che è stata proprio la loro sordità alle esigenze degli elettori a determinarne il successo.

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