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La sinistra, la ‘mobilitazione cognitiva’ e la cultura

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I dati pubblicati da Eurostat, l’Ufficio statistico dell’Unione Europea, che comparano la spesa pubblica dei 27 stati-membri della comunità sono veramente drammatici per il nostro contesto nazionale. 

L’Italia risulta all’ultimo posto in Europa per percentuale di spesa pubblica destinato alla cultura, 1,1% a fronte del 2,2% della media europea, e al penultimo, seguita solo dalla Grecia, per la percentuale di spesa in istruzione, l’8,5% a fronte del 10,9%.

A questo scenario veramente apocalittico corrispondono le meschine tattiche del politichese: governo di scopo, governissimo, governo di minoranza, governissimo mascherato. Solo poche voci, molto isolate nel centro sinistra, pensano a contenuti e metodi completamente nuovi. Mi riferisco, in particolare, a Fabrizio Barca che lancia la formula “mobilitazione cognitiva” per definire un nuovo collante che possa tenere in qualche modo correlati rappresentanti e rappresentati, base e vertice, militanti d’opinione e leadership. L’espressione è interessante e non insensata come altre, ma per essere veramente efficace non può non porsi il problema dei dati drammatici ricordati all’inizio.

Quel collante mi fa pensare al grande progetto coltivato da Lassalle (1825-1864) per il quale la cultura, la formazione e l’istruzione sono la chiave decisiva non solo rispetto al problema dell’eredità della grande cultura del passato, ma anche per la conquista dell’egemonia politica del presente.

Non si può prescindere dal campo di tensione che si istituisce tra le dimensioni della cultura e della formazione – d’origine sostanzialmente hegeliana – e quella dell’oikonomia, d’origine aristotelica – oikonomia in greco significa l’amministrazione dell’oikos, della casa e, più in generale, gestione, management.

I due modelli sono alternativi: mentre nel primo caso la formazione costituisce dal basso una comunità autenticamente libera, nel secondo si propone una “prassi” imposta dall’alto che deve, di volta in volta, commisurarsi esclusivamente a un problema contingente.

Nel primo caso, alla costruzione del progetto corrisponde specularmente l’emancipazione dei soggetti, mentre nel secondo – ed è questa la via forviante che la sinistra italiana ha perseguito – prevale un potere, tanto esterno quanto impalpabile e inaccessibile, che impone un carico di regole, riti ed istituzioni.

Un esempio di “mobilitazione cognitiva” del passato con cui può essere utile confrontarsi ancora oggi è quello mutuato dal periodo aureo della socialdemocrazia austriaca e, più in particolare, da David Joseph Bach (1874-1947), intellettuale non a caso osteggiato in eguale misura dal nazismo e dallo stalinismo.

Per David Joseph Bach, tutti dovevano impadronirsi della storia della musica e delle grandi opere del Canone – da Mozart a Beethoven, a Wagner a Brucker a Mahler – imparando a frequentare i concerti e a prepararsi all’ascolto. Come aveva osservato anche Richard Strauss, dirigendo il primo tempo della Terza di Mahler, si potevano immaginare “interminabili schiere di lavoratori in marchia verso il Prater per celebrarvi il Primo Maggio”.

La “mobilitazione cognitiva”, cui allude Fabrizio Barca, è una rielaborazione di questi motivi culturali o la riproposizione della versione economico-amministrativa di una tutela egemonica delle forze sociali?

 

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