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Sarah Scazzi, il grande ritorno dello zio Michele

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Non c’è ancora una verità sul “caso Scazzi”. Siamo in Assise, c’è una giuria popolare che dovrà sentenziare, quindi – diciamo – siamo a metà, in quel luogo temporale situato fra la requisitoria dell’accusa e le arringhe della difesa. Eppure l’accusatore del delitto di Avetrana, il pubblico ministero Mariano Buccolieri, ha già disboscato orpelli mediatici e fantasie popolari con un atto d’accusa poco trattabile. I telegiornali della seconda (ormai terza) Repubblica hanno ricominciato da dove ci avevano lasciati: Sarah Scazzi, la vittima, è stata strangolata dalla cugina e dalla zia. Una la teneva ferma, l’altra stringeva una rudimentale garrota.

Bruno Vespa non potrà fare un plastico del filo di ferro omicida – troppo lineare – ma ieri Uno Mattina ha rimestato nei luoghi orrifici, con l’aiuto dell’avvocato Nino Marazzita e della criminologa Roberta Bruzzone. Nonostante qualche stravaganza dell’arringa (ergastolo per un “delitto d’impeto”: al premeditato cosa diamo in aggiunta, lavori forzati e fustigazione?), una sceneggiatura (l’altra metà toccherà alla difesa) è arrivata. Lo zio Michele ha mentito sempre, tranne quando ha preso la nipote, un fagotto senza vita, e l’ha buttata nel pozzo. Sarah è stata “uccisa senza pietà” (sempre l’arringa, come se si potesse uccidere con pietà) da zia e cugina. Una pletora di amici, fidanzati veri o presunti, sono entrati e usciti dal processo, ma non hanno mai fatto notizia.

Quello che alla fine lascia pensosi è il “contesto”, una alchimia di arcaico e ipermoderno, di barbarie da profondo sud e di spregiudicato uso dei media da parte di assassini e di comprimari, di cui nemmeno Berlusconi sarebbe capace. E abbiamo rivisto le lacrime finte di zio Michele, il contatto improprio spalla a spalla fra Cosima l’assassina e Concetta la mamma dell’assassinata. E Sabrina, l’amorevole cugina strangolatrice che – telefonino all’orecchio come una manager di Agrate Brianza – curava più trucco e presenza scenica che la coscienza: mostrare incertezza avrebbe significato una confessione, il cinismo indifferente davanti a una telecamera era una recita meno rischiosa. E il movente? Messaggini erotici da tenere segreti. Ricatti sessuali adolescenziali. Difesa della purezza familiare, valore dalla cintola in giù che giustifica tuttora violenza, stupro, incesto, femminicidio.

Può anche darsi che la cronaca nera punti solo all’Auditel. Ma, almeno in questo caso, è stato uno schiaffo benefico che riporta con i piedi sulla terra di un paese arretrato.

Il Fatto Quotidiano, 7 Marzo 2013

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