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Melito Porto Salvo, un sindaco del Partito democratico per la ‘ndrangheta

In carcere è finito Costantino Gesualdo primo cittadino del comune ionico. Scrive il gip che ha disposto 64 arresti eseguiti all'alba dai carabinieri di Reggio Calabria: "Il politico è espressione della cosca Iamonte e l’azione amministrativa che conduce è tesa a tutelare gli interessi del sodalizio mafioso"
Carabinieri
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“Noi ci dobbiamo basare su Gesualdo perché quello abbiamo. Ma lui ci deve tornare il conto. L’abbiamo messo noi lì”. A parlare è un esponente di primo piano della cosca Iamonte che a Melito Porto Salvo, in provincia di Reggio Calabria, detta legge su tutto: dagli appalti alla politica passando per i traffici di droga e armi. Gesualdo di cognome fa Costantino ed è il sindaco della cittadina della jonica che stamattina è stato arrestato, assieme ad altri 64 indagati, con l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso. Oltre alla provincia di Reggio, il blitz dell’operazione “Ada” ha interessato quelle di Milano, Monza e Brianza, Varese, Asti, Roma e Viterbo.

Implacabile il profilo dell’esponente locale del Partito democratico tracciato dal gip Cinzia Barillà che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere su richiesta del procuratore aggiunto Nicola Gratteri e del sostituto della Dda Antonio De Bernardo. “Costantino Gesualdo – scrive il giudice per le indagini preliminari – è espressione della cosca Iamonte e l’azione amministrativa che egli, neo sindaco del comune di Melito di Porto Salvo, conduce è risultata essere improntata al clientelismo e tesa a tutelare gli interessi del sodalizio mafioso che, anche in occasione delle consultazione del 2012, ne ha appoggiato la candidatura e favorito l’elezione”.

E ancora: “La storia politica della città di Melito di Porto Salvo è puntellata da alcune vicissitudini riconducibili alla forte permeabilità mafiosa dell’ente pubblico comunale”. L’inchiesta dimostra come la potente cosca Iamonte abbia realizzato un’infiltrazione pervasiva all’interno del palazzo comunale. Un’infiltrazione che non riguarda solo il sindaco Gesualdo Costantino ma anche il suo predecessore Giuseppe Iaria, sempre del Pd, per il quale il gip ha rigettato la richiesta di arresto.

Voti, tanti voti. Ma anche appalti. Il Comune di Melito era cosa loro (degli Iamonte). L’indagine, infatti, ha reso possibile accertare l’esistenza di un cartello di imprese che ha condizionato il mercato e ha consentito agli imprenditori che ne hanno fatto parte di spartirsi i lavori pubblici banditi dall’amministrazione comunale. L’ingerenza della cosca Iamonte si è rivelata totale. Dai più piccoli appalti pubblici fino alla centrale a carbone che la società svizzera Sei dovrebbe costruire a Saline Joniche.

“Abbiamo intercettazioni telefoniche e ambientali dove è chiaro l’intervento della famiglia mafiosa che era d’accordo alla realizzazione della mega opera”, rivela il procuratore aggiunto Gratteri nel corso della conferenza stampa conclusa con un monito: “La ‘ndrangheta non è né di destra né di sinistra. Per quanto riguarda la politica, la nostra indagine si fonda sulla voce diretta di Costantino e Iamonte. Ci sono state cene e incontri in cui gli uomini della consorteria hanno discusso di voti. Prima di questa indagine non sapevo neanche chi fosse il sindaco. Oggi c’è Costantino che è del Pd, domani e dopo domani ci sarà il tizio che è del Pdl. Le cose non cambieranno se i calabresi non si arrabbiano. L’abbiamo detto più volte che i calabresi sono un popolo di coloni”.

Un’ultima battuta Gratteri la dedica alla spesa di 50mila euro che il Ministero della giustizia ha sostenuto solo per le fotocopie dell’ordinanza di custodia cautelare (circa 4500 pagine) che, per legge, deve essere notificata a tutti i 65 arrestati: “Bastava fare una modifica a un comma di un articolo per modificare la legge e inviare l’ordinanza via mail all’ufficio matricola del carcere che la scaricava su 10 computer e ogni detenuto se la leggeva quante volte voleva. Oppure costava meno comprare un ebook a ogni detenuto che se lo portava in cella e lo restituiva al termine del processo”.

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