È morto dimenticato al freddo, accovacciato con il pigiama e scalzo, sulle scale antincendio a pochi metri dall’ospedale Sant’Orsola di Bologna, dove si trovava per un malore. A scoprirlo non gli infermieri o i medici, ma il figlio, il 31 dicembre, dopo due giorni di ricerche. Gino Bragaglia, anziano di 83 anni, era stato ricoverato il 28 dicembre e la mattina del 29 era scomparso. Ma non aveva lasciato il padiglione Albertoni. Si trovava a pochi metri dalla sua stanza, vicino al reparto di medicina interna, disteso senza vita sui gradini di cemento all’altezza del primo piano. Si era alzato dal suo letto e, probabilmente disorientato, era uscito nella notte poco prima dell’alba.

 “Il paziente – racconta il direttore sanitario dell’area Sant’Orsola Malpighi, il dottor Mario Cavalli – aveva trascorso la notte in stato d’agitazione, gli infermieri l’avevano sedato, poi erano ricorsi alle strisce di contenzione, era molto sorvegliato”. Durante la notte si era svegliato, si era alzato più volte, e così era stato legato al letto con fasce di contenzione. Ma lui è riuscito a liberarsi, ha cominciato a vagare ed è infine uscito sulle scale esterne. Scale accessibili dal corridoio del reparto attraverso una porta a vetri con maniglia antipanico, collegata a un allarme. A più riprese, spiega Cavalli, gli infermieri erano passati a controllarlo. “Abbiamo avviato una serie di accertamenti con audizioni del personale in servizio in quelle ore e ci vorrà qualche giorno per avere una ricostruzione”.

Per il momento la Procura di Bologna non ha ancora iscritto nessuno sul registro degli indagati. L’autopsia, ordinata dal pubblico ministero di turno, Domenico Ambrosino, è stata eseguita mercoledì dal medico legale Sveva Borin, che ancora non ha sciolto la riserva sul caso. Tuttavia, sembra di capire dalle indiscrezioni che trapelano dai corridoi della Procura, sarà molto difficile chiarire le cause della morte. Secondo l’esame autoptico il corpo di Bragaglia aveva delle lesioni lacero contuse alla testa dovute a una caduta, ma non sarebbe chiaro se l’anziano sia morto a causa della caduta stessa o piuttosto a causa del freddo, dopo aver passato tante ore al gelo.

La dinamica della scomparsa. Il personale infermieristico alle 5.30 del mattino aveva verificato che il paziente fosse nella sua stanza, ma venti minuti dopo, alle 5.50 era sparito. “Gli infermieri – continua il direttore sanitario – hanno allertato subito la sicurezza e le ricerche sono iniziate immediatamente. Alle 6.30 la vigilanza ci ha informati che il paziente non era stato ritrovato e abbiamo chiamato il 113”.

Bragaglia, colpito da un malore, era stato trasportato dall’ambulanza del 118 al pronto soccorso, la mattina del 28 dicembre. Dopo poche ore era stato ricoverato nel reparto di medicina interna, al terzo piano del padiglione 2. Di turno, quella notte in reparto, 34 letti in tutto, c’erano due infermieri e il medico di guardia, “come sempre, come da norma” chiarisce Cavalli.

I magistrati vogliono capire quali fossero le procedure da seguire all’interno della struttura, nel momento in cui un paziente scompare. E poi c’è quella sirena della porta d’emergenza. L’allarme ha suonato, probabilmente per pochi istanti, dato che il suono cessa non appena l’anta si chiude. E dunque chi doveva badare a quel suono all’interno della struttura?  

Il figlio: “Non l’hanno cercato, perchè era lì a pochi metri da loro”. “Nessuno ci ha chiamati per dirci che mio padre non stava bene, che era agitato – racconta il figlio, Danilo Bragaglia – altrimenti saremmo andati noi in ospedale ad assisterlo quella notte. Invece abbiamo saputo cos’era successo solo verso le 6.15 del mattino, quando ci hanno telefonato per dirci che l’avevano perso”. A quel punto Danilo e la madre si sono precipitati al Malpighi. “Non l’hanno cercato, e lo dimostra il fatto che l’abbia trovato io – continua  ­- ho parlato con alcuni dottori e con le infermiere: dicevano che non era compito loro, che avevano avvisato la sorveglianza e tanto bastava”. Non si spiega, Danilo, come il personale sanitario non abbia sentito l’allarme collegato alla porta antincendio: “o stavano facendo altro, o pur sentendo suonare non sono andati a vedere se qualcuno fosse uscito. Eppure lui era lì”.  Difficilmente, però, sarebbe potuto tornare in camera da solo. “Avevamo avvisato i medici che mio padre faceva fatica a camminare e ci vedeva poco, se anche non fosse caduto, se si fosse seduto su un muretto sarebbe comunque morto di freddo. Le ricerche avrebbero dovuto coinvolgere più persone, essere più veloci”. Ora spetterà agli esami istologici, avviati dopo l’autopsia, a determinare cosa ne abbia causato il decesso. Intanto lunedì, intorno alle 9 o alle 10 del mattino, sarà allestita la camera ardente in Certosa, a Bologna. “L’unica speranza che ci è rimasta è vincere la causa – conclude Danilo – così da poter dire che avevamo ragione a chiedere maggiore attenzione da parte dell’ospedale”. 

Il malumore dei parenti in visita e i tagli alla sanità. “E’ un fatto terribile” commenta chi si trova in ospedale per fare visita a parenti ricoverati, “è incredibile che siano trascorsi due giorni prima di trovarlo”. “Continuano a tagliare risorse, la sanità dovrebbe essere una priorità però”. Allo sconcerto generato dalla notizia circa la scomparsa di Gino Bragaglia, si affiancano malumori per i recenti tagli operati al settore della sanità regionale che, con 260 milioni di euro in meno per il 2013, dalla spending review subirà una vera e propria ‘stangata’.

“Questo fatto non è riconducibile a ciò che è capitato – assicura il dottor Cavalli – che qualche paziente lasciasse l’ospedale purtroppo era già successo, capita un paio di volte l’anno, di solito li troviamo”. Qualche volta, ha aggiunto, è capitato che qualcuno, residente nei pressi dell’ospedale, tornasse persino a casa. 

In serata in un comunicato inviato alla stampa il direttore generale del Policlinico Sant’Orsola-Malpighi di Bologna, Sergio Venturi, si è rammaricato del fatto accaduto: “Al di là dei risultati dell’ indagine interna, dobbiamo chiedere scusa di una cosa che non doveva accadere”. 

(ha collaborato David Marceddu)

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