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Papa don’t tweet

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Mi piacerebbe davvero sapere chi ha partorito l’idea. Parlargli. Domandargli qual è la “ratio”. Ci deve essere stato qualcuno che al Vaticano ha pensato: “È un modo per raggiungere i giovani”.

Si parla, ovviamente, dello sbarco del Pontefice su Twitter. Già sul nickname, ci sarebbe da obiettare: @Pontifex. Forse più adatto a una marca di adesivi per dentiere che al capo di un’autorità spirituale. E poi la genialata: lanciamo l’hastag #faiunadomandalpapa.

Senza pensare alle conseguenze.

Al netto delle stupide offese, il resto è satira corrosiva pura.

Come accade – e chi la frequenta lo sa – sulla rete. Un genio come Johnny Palomba (già cinico e straordinario critico cinematografico) domanda, tra i primi: “Papa, hai visto che botta l’Imu? No?”.

Quello che davvero non si riesce a capire, in un paese vecchio come il nostro, che un mezzo giovane non è direttamente un modo di comunicare giovane. Renzi, che su Twitter surclassava Bersani, ha perso le primarie. Non è che se mi metto i pantaloni a vita bassa e vado in discoteca, mi accattivo le simpatie dei diciottenni. Anzi. Né bisogna essere giovani per pensare giovani. Certo aiuta.

Ma ho conosciuto settantenni con un pensiero talmente moderno da far sembrare dei vecchi babbioni i “One Direction”. Se davvero potessi rivolgere una preghiera al Pontefice sarebbe: Papa don’t tweet. Per un’istituzione così statica (da almeno 2000 anni) e che si fonda su un dogma come l’infallibilità della Sua Autorità Spirituale, il confronto estremamente democratico di Twitter (uno contro uno) è, quantomeno, sbagliato. E non mi si venga a dire che è Twitter ad essere sbagliato.

Forse può essere sbagliato l’uso che se ne fa. Ma non è certo colpa di Gutenberg se alcuni libri fanno schifo.

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