La giornata di ieri, 14 novembre 2012, passerà senz’altro alla storia come data simbolica di una nuova consapevolezza che sta maturando a livello europeo, specie nell’Europa mediterranea e specie tra le giovani generazioni.

Il fatto che in ben ventitré Paesi europei si sia manifestato contemporaneamente, sotto l’egida di organizzazioni sindacali, movimenti studenteschi e sociali ed altre entità, dimostra il forte radicamento di un orientamento di netta opposizione alle politiche neoliberiste, caratterizzate dalla violenta compressione della spesa sociale e dalla ricerca del beneficio esclusivo di ristretti circoli finanziari, che stanno condannando tutto il nostro continente alla recessione e stanno derubando i giovani di ogni futuro degno di essere vissuto.  

E’ evidente come, sotto la duplice morsa delle politiche recessive patrocinate dal governo tedesco e da altri e delle cricche, cosche e caste nazionali di ogni genere, questa Europa non abbia grandi prospettive di sopravvivenza. Sarebbe certamente un grave arretramento dover mettere in soffitta un evento storico importante come la nascita e lo sviluppo dell’Unione europea. Ma così accadrà, inevitabilmente, se a dettare legge continueranno ad essere gli interessi delle classi dominanti, arroccate in politiche miopi ed egoiste, prive del respiro che sarebbe indispensabile per superare la crisi ed avviare una riconversione dell’economia all’insegna della sostenibilità ambientale e della soddisfazione degli interessi popolari.

Quando però, com’è accaduto recentemente, vengono negati addirittura i finanziamenti alle popolazioni vittime di sciagure naturali, diventa a tutti evidente come la necessaria solidarietà tra i popoli europei, che è la linfa vitale di ogni integrazione, sta venendo irrimediabilmente meno.

Quindi, o l’Europa sarà ripresa in mano dai popoli che ne fanno parte oppure dovremo farne a meno. Di nessun interesse, per la stragrande maggioranza della popolazione, del resto, è l’Europa dei poteri forti, delle lobbies che dettano legge a Bruxelles e dintorni e dell’egemonia soffocante di uno Stato, per quanto importante e centrale nell’architettura comunitaria.

Per questo è importante che si sia espressa con forza la protesta contro queste politiche nei Paesi che più direttamente ne soffrono le conseguenze e che poi sono i Paesi dell’Europa mediterranea, ingenerosamente denominati PIIGS, quando i veri porci  sono coloro che si avvantaggiano della crisi condannando alla vera e propria inedia masse crescenti di popolazione.

Pochi giorni fa, a Firenze, si era svolta un’importante iniziativa di dibattito, che ha prodotto fra le altre cose un manifesto alternativo di economisti, i quali in sostanza chiedono il rovesciamento delle politiche di austerità, una redistribuzione del reddito anche attraverso opportuni interventi di natura fiscale, un ruolo della Banca centrale europea come prestatore di ultima istanza, un ridimensionamento radicale della finanza, una transizione ecologica profonda e l’estensione della democrazia a tutti i livelli.

Orientamenti, come ben si può capire, del tutto opposti a quelli perseguiti dai governi europei e in particolare dal nostro attuale  governo di “tecnici”.  E neanche il futuro lascia sperare bene, se è vero che il dibattito del ceto politico oscilla da una proposta di continuità di tale governo e delle sue sciagurate politiche e le fumose ipotesi dei cinque supereroi del Pd, sostanzialmente subalterni, chi più chi meno, alle sue scelte rovinose.

La vera alternativa ha ben altre basi e, anche al fronte della rovinosa bancarotta della classe politica nel suo complesso, deve poggiare sulla ripresa di protagonismo delle classi popolari, che appunto ieri si sono espresse in modo molto chiaro e netto in Italia e nel resto d’Europa. Si tratta ora di dare continuità e maggiore respiro politico a tale risposta.

Come vedete, non ho parlato degli incidenti, che pure ci sono stati e ai quali fra l’altro ho assistito da vicino. Mi pare che l’intervento delle forze dell’ordine sia stato per certi versi esagerato e scarsamente professionale. Ma non voglio parlare male di poliziotti e carabinieri.Infatti, come lavoratori delle forze dell’ordine chiamati a rivestire un ruolo ingrato di supplenza della politica muta e incapace, che si rifugia dietro tecnici a loro volta incapaci, costituiscono anch’essi delle vittime. Vittime dei tagli, vittime perché padri e madri di giovani senza futuro, vittime perché chiamati ingiustamente a fungere da capri espiatori, facendo da copertura a una classe politica impresentabile e disastrosa che andrebbe spedita il più presto a rieducarsi in comunità dedite al lavoro agricolo. Dobbiamo quindi dire con chiarezza no alla guerra tra poveri che chi ci governa sta fomentando. Ciò richiede una riflessione approfondita e un impegno coerente da parte di tutti (bello e condivisibile l’appello pubblicato al riguardo da Beppe Grillo). E una politica che investa di più nel trattamento e nella formazione degli agenti e meno in macchinari da guerra e  negli stipendi stratosferici dei dirigenti meglio pagati del mondo.

 

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