E’ scontro sull’emendamento approvato dalla commissione Affari sociali della Camera che modifica la legge 40 sulla procreazione assistita, permettendo alle madri che hanno avuto un figlio in provetta di poterlo disconoscere al momento della nascita, come già accade per le donne che hanno avuto un figlio da una gravidanza naturale.

Se per esponenti Pd e diversi legali è stata eliminata una “discriminazione”, la pensano diversamente l’ex sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella (Pdl) e Paola Binetti (Udc): la modifica di oggi va abrogata.

La commissione sta esaminando una legge che contiene misure per proteggere la segretezza della gravidanza. A questo ddl, il dipietrista Antonio Palagiano ha presentato l’emendamento che modifica la legge 40. Il presidente della commissione, Giuseppe Palumbo (Pdl), ha espresso parere positivo all’emendamento e tutti i gruppi hanno votato a favore, esclusa la Lega.

Il testo emendato comporta l’abrogazione della norma della legge 40 che prevede che la madre di chi è nato a seguito dell’applicazione di tecniche di procreazione medicalmente assistita (Pma) non può dichiarare la volontà di non essere nominata. Ciò è in contrasto con quanto stabilito dall’art. 30, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica (Dpr) 396/2000 che prevede che in sede di dichiarazione di nascita deve essere rispettata l’eventuale volontà della madre di non essere nominata. In pratica, si tratta della prima modifica legislativa alla legge 40, essendo avvenute le precedenti tutte sulla base di sentenze della Corte Costituzionale.

“Non esistono madri di serie A e di serie B e per questo – commenta Palagiano – non posso che essere soddisfatto per l’approvazione dell’emendamento a mia prima firma”. Si tratta di un “voto importante – è il commento di Livia Turco (Pd) – perché le gravidanze sono tutte uguali”. Un giudizio positivo arriva anche da vari legali: “Si tratta – afferma Filomena Gallo, avvocato e segretario dell’associazione Luca Coscioni – del ripristino di un principio generale di uguaglianza tra gravidanze da fecondazione artificiale e spontanee”, anche se “da legale impegnata in questo settore – precisa – posso dire che, nella mia esperienza, non è mai avvenuto che una donna che abbia avuto una gravidanza da Pma abbia successivamente chiesto di disconoscere il proprio figlio”. Concorda l’avvocato Gianni Baldini: “Fra le tante storture della legge, questo aspetto rappresentava certamente una difformità che andava eliminata”.

Il senatore Pd Ignazio Marino, guarda oltre l’emendamento: “Questo governo, tecnico ed europeista in materia economica, si comporti da tecnico ed europeista anche in materia sanitaria, liberandoci da una legge piena di incoerenze e di corbellerie scientifiche e mediche”.

Boccia l’emendamento Eugenia Roccella (Pdl): “La modifica sicuramente corretta per garantire che non vi siano forme surrettizie di commercio intorno alla procreazione assistita, e non si possa aggirare il divieto di fecondazione eterologa”. Sulla stessa linea la Binetti: “Un bimbo in provetta non nasce mai per caso” e, per questo, “l’emendamento Palagiano tradisce la legge 40 e va abrogato”.

In Italia, secondo gli ultimi dati disponibili, sono 31.791 i bambini nati con tecniche di procreazione assistita dal 2005, sulla base dei dati raccolti da quell’anno in poi dal Registro nazionale della procreazione medicalmente assistita attivo dal 2005 presso l’Istituto superiore di sanità.

LEGGE 40, UNA NORMA BOCCIATA DAI TRIBUNALI– Se confermata in via definitiva, l’approvazione dell’emendamento in commissione Affari sociali che abroga il divieto di disconoscere un bambino nato con fecondazione assistita, rappresenterebbe la prima modifica parlamentare ad una legge combattuta a colpi di carta bollata in decine di tribunali di tutta Italia e in Europa, che conta in tutto già 16 sentenze di bocciatura di alcune sue parti. La legge 40 bocciata per la prima volta a livello europeo dalla corte di Strasburgo lo scorso agosto, era infatti già finita diverse volte nelle sentenze anche dei tribunali italiani.

Cinque volte in tutto è finita sui banchi della Corte Costituzionale (nel 2005, due volte nel 2009 e una nel 2010 e infine nel maggio del 2012). Se si considerano i ricorsi per altre parti della legge come quelli per ottenere la possibilità di congelamento degli embrioni, la diagnosi preimpianto e il limite di utilizzo di tre embrioni per ciclo di fecondazione sono complessivamente 16 le volte che i giudici hanno ordinato l’esecuzione delle tecniche di fecondazione secondo i principi costituzionali affermando i diritti delle coppie.

Fra le molte decisioni dei giudici il 23 gennaio del 2008 il Tar del Lazio, oltre ad annullare le linee guida per l’applicazione della legge per “eccesso di potere” nella parte in cui vietavano le indagini cliniche sull’embrione, ha sollevato la questione di costituzionalità delle norme (articolo 14, commi 2 e 3) che prevedono la possibilità di produrre un numero di embrioni non superiore a tre e l’obbligo del contemporaneo impianto.

Nel 2009 la Consulta ha accolto la prima parte delle osservazioni con sentenza 151 del primo aprile; quanto alla seconda parte è stato introdotta una deroga al divieto di crioconservazione degli ovuli.

Il 13 gennaio del 2010 il giudice Antonio Scarpa, del Tribunale di Salerno, ha autorizzato, per la prima volta in Italia, la diagnosi genetica preimpianto ad una coppia fertile portatrice di una grave malattia ereditaria, l’atrofia muscolare spinale di tipo 1. Sono seguite decisioni in tal senso presso i tribunali di Firenze, Bologna e Salerno per altre coppie.

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