Lo Stato non potrà più finanziarsi a spese delle imprese fornitrici della Pubblica amministrazione, rimandando all’infinito i pagamenti dovuti. Nella notte tra mercoledì e giovedì il governo ha approvato il decreto legislativo che recepisce la direttiva europea sui pagamenti che, dal 2013, dovrebbe cambiare tutto. Ma soltanto per i nuovi contratti.

Funziona così: il termine per saldare le fatture sarà di 30 giorni, o al massimo di 60 per “casi eccezionali” (che dovrebbero riguardare le prestazioni agli enti pubblici che offrono assistenza sanitaria). Dal giorno dopo la scadenza, scattano gli interessi di mora che sono stati alzati all’8 per cento. Nel complesso, quindi, il Comune, la Regione o il ministero o comunque l’ente che rimanda il saldo si troverà a pagare sul prestito interessi superiori al 10 per cento. Visto che il termine dei 30 giorni ora è diventato perentorio, l’amministratore locale che non paga rischia di trovarsi poi accusato di danno erariale dalla Corte dei conti: se non può saldare, significa che ha speso soldi che non aveva, pur conoscendo i temi imposti dalla legge. E quindi l’amministratore rischia di dover poi pagare di tasca propria.

Il ministro per gli Affari europei, Enzo Moavero Milanesi , è stato il regista del recepimento della direttiva (per una volta in anticipo sulle scadenza, prevista per marzo 2013): “È un’operazione analoga a quella fatta sulla politica di bilancio, lì abbiamo ridotto il deficit, con i pagamenti creiamo le premesse per un futuro sostenibile”. E dal prossimo anno quindi le cose dovrebbero cambiare, non soltanto per il pubblico, ma anche nei rapporti tra privati. Alcuni grandi gruppi (tipo la Fiat o l’azienda della famiglia Marcegaglia) spesso allungano il più possibile i tempi di pagamento, di fatto finanziandosi a spese dei fornitori che sono costretti a ricorrere alle banche per non andare in crisi di liquidità. Le piccole imprese quindi avranno uno strumento negoziale in più contro i grossi clienti.

Per il futuro, quindi, le cose dovrebbero migliorare. Resta il piccolo dettaglio di quei 70-90 miliardi che la Pubblica amministrazione deve pagare ai fornitori, un debito che si è accumulato negli anni e che lo Stato non ha mai avuto grossi incentivi a ridurre per ragioni contabili: non rientra nel conto del debito pubblico. E quindi è un problema soltanto per gli imprenditori che, aspettando il saldo, nel frattempo falliscono. Secondo la Cgia di Mestre, un centro studi, il 30 per cento dei fallimenti di imprese durante la crisi sono dovuti ai ritardi della Pubblica amministrazione.

Il governo Monti ha annunciato più volte di aver sbloccato il processo di pagamenti. Ma la procedura impostata dal ministro dell’Economia Vittorio Grilli va a rilento. Sono passati sei mesi dall’annuncio di maggio e ancora siamo ai preliminari. Dal 18 ottobre è operativa la piattaforma elettronica per la certificazione dei crediti delle imprese (è il primo passo, solo i crediti certificati saranno rimborsati). Ma le pubbliche amministrazioni hanno un mese per attivare la piattaforma per il proprio debito, solo allora le aziende potranno cominciare a chiedere i certificati. E chissà quanto ci vorrà dopo per arrivare al momento cruciale, quello in cui i soldi arrivano nelle casse dell’imprenditore, visto che il certificato dovrebbe essere scontato in banca. Sempre che questa sia sicura che prima o poi lo Stato pagherà.

Twitter @stefanofeltri

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