Il 25 giugno quei due marchi, Otis e Ceam, risplendevano al sole dello stadio Dall’Ara di Bologna dove decine di migliaia di spettatori assistevano al grande Concerto per l’Emilia, il mega-evento organizzato per raccogliere i primi fondi per le popolazioni terremotate. Ma oggi la Ceam, di proprietà della multinazionale americana degli ascensori Otis, entrambi partner ufficiali della serata pro-terremotati h a provocato un’altra scossa nella vita di 90 dipendenti su 140. Da qualche settimana infatti l’azienda con sede a Calderara di Reno alle porte del capoluogo emiliano, ha annunciato il licenziamento di oltre due terzi dei suoi lavoratori. A finire a casa potrebbero presto essere 46 operai e 44 impiegati.

La scossa porta anche qui una data precisa, 27 settembre 2012, ed è scandita in poche righe: “Con la presente Vi informiamo che la scrivente si trova nella necessità di avviare la procedura di licenziamento collettivo di n. 90 dipendenti, occupati presso lo stabilimento”. Per l’azienda, senza mezzi termini, il lavoro in Italia costa troppo: “La significativa riduzione dei volumi produttivi […] negli ultimi anni ha generato un notevole e insostenibile aumento del costo orario di produzione”.

Il motivo tuttavia ha un nome molto comune in questa terra che dal 2008 vede ogni giorno una fabbrica abbassare le proprie serrande: delocalizzazione. Subito i sindacati hanno pensato alla Spagna, a Madrid, dove la casa madre Otis ha un grande stabilimento e dove verrà prodotto un ascensore che era stato pensato a Bologna.

Adesso per le tute blu e gli impiegati dell’azienda, che da quel 27 settembre stanno organizzando presidi e proteste a Bologna, la scelta di Ceam ha anche l’amaro sapore della beffa. Già meno di due anni fa l’azienda, dopo una lunga battaglia, era riuscita a licenziare 45 operai. E per gli altri era scattata la Cassa integrazione, ma con una promessa: da oggi investiamo. “Ricerca e sviluppo di nuovi prodotti per completare la gamma e risultare più competitivi sul mercato di riferimento”, recitava l’accordo del 13 aprile 2011, firmato tra gli altri anche dalla Fiom-Cgil che più si era battuta per gli operai.

Oggi quell’impegno è carta straccia. “Per gli anni a venire non è prevedibile né è prevista una inversione di tendenza nel mercato generale delle costruzioni”, recita una delle ultime comunicazioni della ditta. Come dire: italiani, arrangiatevi, noi togliamo il disturbo.

E ora? Al momento gli operai hanno ottenuto solo una sospensione delle procedure: “Per avere un quadro definitivo sul futuro si deve attendere l’incontro previsto a livello di gruppo che si svolgerà a Bruxelles il 26 ottobre”, ha detto speranzoso l’assessore provinciale al lavoro Graziano Prantoni, uno dei pochi politici a essersi interessato del problema. Ma le intenzioni dell’azienda sembrano chiare. In Italia rimarranno poche decine di dipendenti oltre alla commovente sponsorizzazione “pro-terremotati”. E così, come dice un volantino distribuito dagli operai all’uscita della fiera di Bologna in questi giorni, “l’Emilia ringrazia!”

Articolo Precedente

Bologna, nasce il cinema cogestito. La sala Europa affidata ai registi indipendenti

next
Articolo Successivo

Scuola, famiglia, società: la riforma anticorruzione deve iniziare da qui

next