Sentite il caso che m’è “capitato di fresco” – e, credo, non solo a me: magari, qualcuno ci si ritrova -. Ricevo una bolletta dall’Acea (Azienda per l’energia e l’acqua di Roma)(: i consumi elettrici di casa mia del quarto trimestre. L’importo è un po’ elevato (ma quando mai non lo è?), ma non mi fa scattare campanelli d’allarme: la scadenza è il 6 agosto e pago regolarmente. Un mese dopo, mi arrivano lo stesso giorno due lettere datate entrambe 5 settembre: l’Acea mi informa che c’è stato “un imprevisto problema tecnico” e che non è stata in grado “di inviare le fatture con la periodicità prestabilita” –io, in realtà, non me n’ero accorto: mi pareva tutto regolare-. Però, tranquillo, “l’anomalia è stata recentemente superata” e d’ora in avanti tutto filerà liscio. Basta che ora paghi.
Le due lettere, infatti, accompagnano due bollette: con una, l’Acea mi riconosce il rimborso di quanto avevo già pagato –bene!-; con l’altra, mi chiede di pagare una somma sensibilmente più elevata –male!, ma se c’è stato l’“imprevisto problema tecnico”, che cosa ci vuoi fare?-. Però, non mi ritrovo sul conto la somma che mi devono rimborsare, mentre, inesorabile come la carrozza dell’Innominato che “la viene avanti col passo della morte”, quella da prelevare sparisce alla data indicata.
Ohibò, e che succede? Le lettere sono corredate da numeri da chiamare in caso di dubbi. Chiamo. E mi viene spiegato che è tutto perfettamente regolare, che devo stare assolutamente sereno e che il rimborso mi sarà recapitato con assegno circolare. Questione di mesi, ma prima di Natale dovrei avercelo. Obietto che così l’Acea si tiene per almeno quattro mesi i miei soldi, che potevano limitarsi a prelevare la differenza fra la bolletta già pagata e quella ricalcolata, che l’invio di assegni circolari comporta tutto un lavoro amministrativo loro e tutta una scomodità mia, per andare poi a incassarlo. Non cavo un ragno dal buco. L’interlocutore è gentile, capisce, comprende, condivide, ma “Signore, è così”.
Metto giù il telefono. E mi scopro, tristemente, né sorpreso né irritato. Si tengono i soldi miei e sprecano pure i soldi nostri, con partite di giro che potevano essere più semplici. Eppure, è come se me l’aspettassi. E, in fondo, mi consola sapere che ho già deciso di cambiare fornitore; anzi, ho già in mano il documento che m’annuncia che la cosa è fatta. Sta’ a vedere che l’Acea mi fa questo dispetto perché l’ho piantata. L’idea mi balena per la mente un istante. Poi l’abbandono: no, ci vorrebbe troppa malizia, e soprattutto troppa organizzazione, per mettere su una cosa del genere. Non c’è dolo. “E’ così, Signore”.
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