Secondo il Boston consulting group (Bcg) le vendite del settore lusso sono aumentate del 33 per cento solo lo scorso anno ed entro il 2020 la Cina supererà gli Stati Uniti, affermandosi come il più grande mercato mondiale del lusso: quel che “C’era una volta in America” si sta spostando in Cina, a passo piuttosto svelto.

I grandi marchi europei (e americani) hanno ormai sviluppato una presenza forte sul suolo cinese, consapevoli che la sempre crescente domanda di moda non riguarda più solo i grandi centri urbani (come Shanghai o Pechino), ma anche le cosiddette “città di secondo livello”, che sono destinate ad attirare l’80 per cento dei consumi di abbigliamento e accessori in meno di dieci anni.

Huishan Zhang

Ma la Cina, come da copione, non si limita solo a fare da acquirente (e, naturalmente, da produttrice): con la nuova generazione di designer “made in China”, inizia a proporsi anche come creatrice di moda. Uma Wang è una delle stiliste cinesi più affermate del momento: studi alla China Textile University e alla Central Saint Martin di Londra, uno stile pulito e lineare, una grande attenzione alla qualità. Grazie alla sua recente collaborazione con Swatch, Uma, nata in una provincia del nord che circonda l’area di Pechino (Hebei), ha visto aumentare la sua notorietà in tutto il mondo.

Più ironica e colorata la moda proposta da Yang Du, altra emergente originaria di Dalian, che ha lavorato con John Galliano e Vivienne Westwood prima di dare vita alle proprie collezioni.

Master alla Central Saint Martin di Londra anche per Huishan Zhang: 28 anni, nato a Qingdao, la sua collezione Autunno Inverno 2011-2012 ha registrato il “tutto esaurito” in uno dei più importanti grandi magazzini londinesi. Huishan dice di voler fare del suo brand un marchio leader del pret à porter mondiale e non si tratta, secondo lui, solo di una questione di vestiti: vuole essere portatore di un nuovo “chinese lifestyle”.

Uma Whang

E se la formazione di molti designer cinesi passa attraverso scuole europee (prima tra tutte la Central Saint Martin di Londra), Zhang Na si può definire un “home-grown designer”: studi alla Xi’an Academy of fine Arts, Zhang ha creato il marchio NA(TOO), oggi venduto in tutto il mondo.

Viene da pensare che, in un futuro non troppo lontano, la moda italiana potrebbe ritrovarsi a fare i conti con quella cinese. Possibile? Sicuramente la prima grande sfida per un marchio che si pone obiettivi internazionali è il raggiungimento del successo “in patria” ed è proprio da questo punto di vista che i giovani designer cinesi si trovano ad affrontare la prima difficoltà. Gli acquirenti cinesi hanno, infatti, ancora una grande perplessità verso il “made in China” che percepiscono come sinonimo di bassa qualità o di “falso”.

Abiti di Yang Du

Eppure, la capacità manifatturiera di alcune aziende cinesi è comparabile, sempre di più, a quella italiana o francese e molti dei grandi nomi della moda mondiale producono parte delle proprie collezioni proprio in Cina.

Resta la questione della storicità e del patrimonio di immagine, che sono prerogativa di alcuni tra i più noti e importanti marchi del pret à porter e che, certamente, sono difficili da replicare.

D’altra parte, con l’aiuto dei tanti milionari cinesi pronti ad investire nel mercato del lusso, lavorare nell’ottica di una riabilitazione del “made in China” nel mercato interno (e globale) e della creazione di un’identità forte e riconoscibile sembra una sfida possibile.

E se il diavolo iniziasse a vestire Wang?

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