Una 13enne è stata venduta per 3mila euro come promessa sposa ad una famiglia macedone residente in Italia che l’ha poi violentata, segregata e torturata con un filo elettrico. La minorenne è stata messa sotto protezione dalla squadra mobile di Venezia che oggi ha arrestato il futuro sposo 17enne e la madre. Venerdì scorso una diciottenne di origine marocchina è finita in ospedale dopo che il padre l’ha picchiata perché non voleva sposare l’uomo che la famiglia aveva scelto per lei. Due fatti molto simili che dimostrano che la pratica dei matrimoni forzati in Italia è una realtà diffusa. Sono sempre di più, infatti, le donne immigrate, di seconda generazione e spesso minorenni, che vengono costrette a sposare un uomo scelto per loro dai genitori. La maggior parte delle giovani crescono in Italia e poi, quando stanno per finire gli studi superiori, vengono portate nel Paese d’origine a sposarsi, a volte con l’inganno, con la scusa di un viaggio di piacere oppure di un parente che sta male. Ma può accadere, come nel caso della ragazzina macedone salvata oggi, che le donne trascorrano l’infanzia e l’adolesceza in un altro Paese, vengano costrette a sposarsi con un uomo residente in Italia e portate qui.

Chi cerca di ribellarsi è perduta: se non riesce a chiedere aiuto ai servizi sociali oppure a denunciare tagliando i ponti con la famiglia, viene segregata in casa e punita con botte e violenze psicologiche. A volte la vittima non regge e si suicida. Altre volte viene uccisa.

Nonostante i numerosi fatti di cronaca che indicano la presenza del fenomeno dei matrimoni forzati, in Italia nessuno è in grado di fornire numeri certi. Non esiste, infatti, un registro ufficiale nazionale ma soltanto inchieste realizzate a livello locale da organizzazioni non governative. Una di queste indagini è stata fatta dall’associazione Trama di terre, in Emilia Romagna, e ha permesso di scoprire 33 casi di matrimoni forzati (tre dei quali riguardavano uomini). La maggioranza delle unioni sono state celebrate all’estero: India, Albania, Marocco, Francia e Pakistan. Per le donne che si sono ribellate non c’è stata pietà: di loro si sono perse le tracce. Si ipotizza che tre siano state vittime di omicidio mentre una sia stata spinta a togliersi la vita.

Quello dei matrimoni forzati è un fenomeno non soltanto italiano. Nel 2011 in Inghilterra l’Unità governativa contro i matrimoni forzati (Fmu) è intervenuta in 1500 casi in cui si volevano celebrare unioni senza la volontà di entrambi i coniugi. Di questi 56 hanno riguardato persone con disabilità mentale. Secondo alcune stime, ogni anno sono 8mila le teenager con passaporto inglese costrette ad accettare di sposarsi contro la propria volontà: il 30% è minorenne e il 15% ha meno di 15 anni. Per porre rimedio a questa situazione l’Inghilterra sta discutendo l’introduzione, dal 2013, di una legge severa che farà diventare reato i matrimoni forzati con tanto di carcere per i genitori.

Anche la Svizzera ha scoperto, nei giorni scorsi, che il fenomeno è in crescita. Il 9 agosto è stato presentato uno studio realizzato dall’Università di Neuchatel per conto dell’Ufficio federale della migrazione (Ufm) dal quale emerge che dal 2010 al 2012 circa 350 donne sono state costrette a sposarsi e 390 a mettere fine a una relazione scelta liberamente. Si tratta perloppiù di donne tra i 18 e i 24 anni, proviente dai Paesi balcanici, dalla Turchia e dallo Sri Lanka. Ad altre 660, invece, è stato impedito di avviare una procedura di divorzio. In Svizzera è in attesa di approvazione una legge che prevede che le unioni contratte con la forza vengano perseguite d’ufficio: le vittime non dovranno più sporgere denuncia e i responsabili potranno essere condannati fino a cinque anni di reclusione.

Come ha spiegato Barbara Spinelli, avvocata esperta di femminicidio e parte attiva nella piattaforma Cedaw (Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne) e del relativo Rapporto Ombra, nella relazione di presentazione della ricerca di Trama di terre, quello dei matrimoni forzati “è un problema di violenza di genere, di padri che vogliono decidere sulla vita delle figlie, privarle della libertà di scegliere se e con chi sposarsi e dividere la loro vita”. Per cercare di risolvere la situazione è necessario prima di tutto ammettere l’esistenza del problema. E invece, sottolinea Spinelli, “già all’Onu, nel corso della sessione di esame sull’attuazione della Cedaw in Italia, il governo italiano aveva risposto a una domanda del Comitato dicendo che i matrimoni forzati non sono un fenomeno che riguarda l’Italia ma altre parti del mondo, e che i casi sono rarissimi”.

Uno studio e una mappatura del fenomeno sono state chieste anche dalle associazioni Action Aid e Trama di Terre che hanno avviato, nei mesi scorsi, un progetto – con testimonial l’attrice Stefania Rocca – che ha come obiettivo il contrasto del fenomeno dei matrimoni forzati. Il piano prevede la creazione di un network nazionale e internazionale di operatori ed organizzazioni attive in questo ambito e la promozione di nuove metodologie di intervento attraverso la formazione di operatori pubblici e privati del territorio. Le associazioni prevedono anche attività di pressione per l’elaborazione di strumenti legislativi, a partire dalla richiesta di estendere l’articolo 18 del Testo unico a tutela delle vittime di tratta anche per le donne costrette ai matrimoni forzati, puntando poi all’adozione di un Piano nazionale di contrasto.

Senza dimenticare che per mettere fine a questi crimini bisogna aumentare i fondi da destinare alle strutture di accoglienza e alle case rifugio ad alta sicurezza. Come è stato sottolineato nel rapporto Cedaw (Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne) del 2011, in Italia “le case rifugio sono poche e molte sono a rischio chiusura perchè non godono di finanziamenti stabili. Attualmente ci sono oltre 119 Centri antiviolenza di cui 93 sono gestiti da Associazioni di donne e 56 hanno case di ospitalità. Il numero di strutture è insufficiente per rispettare gli standard stabiliti a livello europeo”.

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