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Venerdì scorso sono stato ospite del NoveTeatro di Novellara, una bella cittadina in provincia di Reggio Emilia. Con Salvatore Borsellino in video conferenza abbiamo presentato il nostro libro e, successivamente, abbiamo parlato delle infiltrazioni mafiose nel Nord Italia, in particolare in Emilia Romagna. Con il mio solito codazzo di carte e sentenze, ho raccontato la storia della Tangenziale di Novellara, un caso da manuale della lotta tra il bene e il male, tra la mafia e l’antimafia, in cui, per adesso, la spuntiamo noi. Ve la ripropongo.

Iniziative Ambientali Srl è una società costituita da Sabar Spa, Enia Spa ed Unieco Scrl, grosse realtà imprenditoriali che in questa Srl si sono unite per la gestione dei rifiuti e lo smaltimento di materiali di scarto non più riutilizzabili. A fronte della gestione della discarica di Novellara tra il 2003 e il 2008, la Iniziative Ambientali si era impegnata a realizzare il terzo stralcio della tangenziale ricadente nel comune reggiano come opera di compensazione: avrebbe costruito, precisamente, il tratto che va dalla rotatoria S.P. nr. 42 all’intersezione con l’allacciante Cartoccio.

Nel 2009 la gara d’appalto viene vinta dalla Bacchi Spa di Boretto (RE), ditta che opera in quasi regime di monopolio da quattro generazioni nell’estrazione delle sabbie del Po. Bacchi vince offrendo un ribasso pari al 10,208 per cento sull’importo a base di gara.

A questo punto Iniziative Ambientali, come da procedura, scrive alla Prefettura di Reggio Emilia per avere l’informazione antimafia liberatoria nei confronti della ditta vincitrice; la documentazione viene inizialmente rilasciata senza alcun problema.

A seguito di un successivo accesso ispettivo, strumento previsto nel Pacchetto Sicurezza del 2010, Dia, Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza acquisiscono nuovi elementi che la portano la Prefettura, il 5 aprile 2011, a revocare il via libera e ad emettere un’interdittiva antimafia per la “sussistenza del pericolo di infiltrazioni mafiose”. Il provvedimento è devastante perché indica chiaramente che la potente Bacchi è condizionata dalla mafia, nella ridente Emilia e non a Corleone.

Nel Palazzo del Governo di corso Garibaldi dal primo settembre 2009 c’è l’agrigentina Antonella De Miro, che a Reggio Emilia ha la fama di essere un “Prefetto di ferro”, anche per la gavetta tra i fatti di mafia ad Agrigento. È arrivata a Reggio dopo la nomina nel 2006 come componente della Commissione per la gestione straordinaria del Comune di Castellammare del Golfo (TP), sciolto per infiltrazione mafiosa, e la guida della Prefettura di Benevento.

A seguito degli approfondimenti ordinati dalla De Miro, sulla Bacchi Spa emergono gravi criticità che denotano la vicinanza della ditta emiliana ad ambienti mafiosi. La prima “criticità” si chiama Floro Vito Giuliano. Nel cantiere che stava realizzando lo stralcio della Tangenziale, Giuliano trascorreva le sue giornate come operaio, un po’ più uguale degli altri: egli è infatti “cognato di Mattace Domenico presidente CDA della Tre Emme Costruzioni, detenuto per il delitto di usura e ritenuto organico alla famiglia di ndrangheta operativa in Cutro” si legge nell’interdittiva. Il Gip presso il Tribunale di Reggio Emilia lo aveva autorizzato a recarsi in cantiere, assunto proprio dalla Tre Emme. Una maestranza di cui il cantiere non poteva certamente fare a meno e la cui essenzialità ha convinto anche il Gip. 

Poi ci sono le risultanze dell’indagine “Caronte” e “Pastoia” (prende il nome dal braccio destro di Bernardo Provenzano, Ciccio Pastoia, arrestato a Castelfranco Emilia e suicidatosi nel carcere di Modena): nella prima alcune ditte controllate da organizzazioni malavitose, in particolare cosa nostra e ‘ndrangheta, avrebbero “costretto” la Bacchi ad affidare loro subappalti nell’ambito dei cantieri ferroviari per l’Alta Velocità in Emilia Romagna; nella seconda indagine era emerso invece che la Bacchi Spa aveva affidato alcuni subappalti all’impresa C.G.A. Costruzioni Srl, ritenuta “rientrante a pieno titolo nell’orbita di Cosa nostra” scriveva la De Miro. Il titolare della CGA, Alfano Vincenzo, nativo di Villabate e residente a Monteprandone (AP), era stato condannato il 2 luglio 2009 della Corte d’Appello di Palermo per delitto associativo mafioso per avere messo a totale disposizione della famiglia mafiosa di Villabate (legata a Bernardo Provenzano, tanto da curarne la latitanza) le proprie società operanti nel settore delle costruzioni, al fine di acquisire appalti pubblici e di reinvestimento di ingenti somme di danaro di provenienza illecita. 

A questi elementi si aggiunge che nell’assegnazione dei subappalti alle ditte riconducibili ai Mattace, la Bacchi avrebbe eluso la legge antimafia. Quelle ditte, infatti, non avevano mai ottenuto la certificazione antimafia dalla Prefettura: entrambe sono state riconosciute a rischio di infiltrazione mafiosa e per questo sono state raggiunte da provvedimento interdittivo in data 4 maggio 2011, emesso dalla Prefettura di Parma e poi dichiarato legittimo con sentenza dal Tar Parma. Per aggirare l’ostacolo (l’autorizzazione antimafia è necessaria solo per subappalti di importo superiore ai 155 mila euro) la Bacchi aveva diviso in due il subappalto: 50 mila euro di lavori al Consorzio M2(di Gennaro Mattace) e 130 mila euro alla Tre Emme (di Domenico Mattace). I Mattace sono figli di Francesco ritenuto dalle forze dell’ordine contiguo alla famiglia mafiosa di Grande Aracri.

Ricevuto il provvedimento dalla Prefettura, il 7 aprile Iniziative Ambientali Srl dispone la sospensione dell’aggiudicazione dei lavori e l’efficacia del contratto di appalto. Stesso provvedimento adotta la Provincia di Reggio Emilia, che nel 2008 aveva appaltato i lavori di “ordinaria e straordinaria manutenzione delle strade provinciali del Reparto Nord” ad un’associazione temporanea di imprese, di cui capogruppo era la Turchi Cesare Srl e componente la Bacchi Spa.

Quest’ultima presenta subito ricorso al Tar contro la decisione e nel luglio del 2011 il Tribunale amministrativo dà ragione all’impresa perché le conclusioni della Prefettura sarebbero “imperniate su circostanze non correttamente conosciute e rappresentate, interpretate in modo parziale e fuorviante, irrilevanti ai fini della valutazione ‘prognostica’ di pericolosità”.

A questo punto, vista la determinazione della De Miro, tutti attendono che la Prefettura presenti ricorso al Consiglio di Stato, e invece ecco la sorpresa: nell’agosto del 2011 l’Ufficio territoriale del Governo prepara una nuova interdittiva di 89 pagine, al netto degli allegati, accogliendo in pieno le richieste del Tar. La Iniziative Ambientali e la Provincia fermano nuovamente Bacchi Spa. Il nervosismo sale, le amministrazioni comunali e provinciali sono spazientite da questa partita a ping pong ma ufficialmente esprimono sostegno al Prefetto. In realtà temono danni all’economia, ritardi nei lavori, ulteriori spese per le esangui casse pubbliche. La tensione è palpabile.

Per i legali della Bacchi la nuova interdittiva sarebbe una fotocopia della prima tranne alcune “marginali e irrilevanti integrazioni” dicono. Per questo presentano un nuovo ricorso al Tar. Nell’aprile 2012 però il Tribunale amministrativo regionale dà ragione al Prefetto De Miro, ridimensionando anche la bocciatura precedente. “Risulta evidente come la Prefettura si sia attenuta pedissequamente alle indicazioni fornite dalla Sezione in sentenza tant’è che lo stesso Collegio giudicante che ha ritenuto inadeguata la precedente interdittiva del 5 aprile 2011, ha viceversa ritenuto, sebbene in sede del sommario esame tipico della fase cautelare, complessivamente plausibili le conclusioni cui è giunta la Prefettura in riedizione del potere, configurando gli elementi acquisiti al procedimento e le valutazioni operate dall’Amministrazione un quadro indiziario tale da rivelare la sussistenza del pericolo che i comportamenti e le scelte dell’impresa rappresentino un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali negli appalti pubblici”.

Questa volta il lavoro della Prefettura è inattaccabile da ogni punto di vista: “Si tratta di un quadro indiziario articolato e complesso, fatto di rapporti familiari che si intrecciano con rapporti societari e di affari esposto con compiutezza e specificità di riferimenti e di collegamenti in massima parte assenti nella precedente informativa del 5 aprile 2011, che mal si presta alla minuziosa ed analitica parcellizzazione alla quale vorrebbe sottoporlo la difesa di parte ricorrente al fine di sostenere come ogni singolo punto, preso a sé stante, non rivesta specifici connotati di pericolosità. È vero invece il contrario” sentenzia il Tar. I legali della Bacchi per il Tribunale amministrativo non sono riusciti a fornire alcuna “argomentazione idonea a smentire nel complesso il grave quadro indiziario risultante dall’informativa da cui emerge come la Bacchi Spa si sia radicata negli anni sul territorio emiliano, inserendosi nel settore degli appalti pubblici e intrattenendo rapporti commerciali e di affari con imprese gestite prevalentemente da calabresi e siciliani colpiti da provvedimenti penali e contigui, se non diretti esponenti, della malavita organizzata”.

Nel nuovo provvedimento la Prefettura aveva presentato delle novità che forniscono la prova inequivocabile della vicinanza della Bacchi ad ambienti e personaggi in odor di mafia e, soprattutto, la continuità di tali rapporti: “- i contratti di trasporto con la ditta Fenoaltea Aurelio e l’affitto dell’abitazione di Bacchi Lorenzo allo stesso Fenoaltea, noto pregiudicato autorizzato dal Gip di Palermo a vivere a Boretto (…); – la vendita di materiali a Mattace Marisella di Cutro nell’anno 2003, in rapporti familiari con noti malavitosi; – il subappalto dei lavori di realizzazione della strada provinciale 467 Pedemontana, nel Comune di Sassuolo, alla ditta Baraldi Spa, colpita da interdittiva antimafia emessa dal Prefetto di Modena il 6 giugno 2011; – l’apertura di un procedimento penale a carico dei legali rappresentanti della Bacchi Spa, della Tre Emme Costruzioni Srl e del Consorzio Edile M2 per la contravvenzione di cui all’art. 21 della L. 646/1982 (che punisce chi dà lavori in subappalto o a cottimo senza le necessarie autorizzazioni, Ndr); – la comunicazione dei Carabinieri di Bergamo dell’11 ottobre 2002, contenente notizia di reato a carico di Bacchi Aladino e Soncini Franca, unitamente a Baraldi Claudio per associazione a delinquere e turbata libertà degli incanti (gli indagati verranno poi assolti, Ndr)” spiega il Tar.

A nulla serve l’ultima disperata accusa della Bacchi Spa al lavoro della Prefettura, definito “espressione di una cultura del mero sospetto”: per il Tribunale amministrativo “anche l’insieme dei rapporti di amicizia e interpersonali tra i componenti della famiglia Bacchi e noti malavitosi vicini alla ‘ndrangheta trasferitisi al Nord, denota una trama di rapporti squisitamente elettivi, dunque non occasionati dalle inevitabili contiguità derivanti dalla conterraneità o dalla convivenza sullo stesso territorio, bensì scelti consapevolmente”. Per queste ragioni il Tar respinge il ricorso della Bacchi, confermando in toto l’impianto dell’interdittiva prefettizia.

A Novellara  ho chiuso il mio intervento dicendo che l’economia non viene prima della legalità. Perché quando ciò accade si tratta di un’economia malata, per pochi, tossica per gli altri. Spesso cerchiamo un giudice a Berlino, a volte basta un Prefetto a Reggio Emilia.

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