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Cina, un ragionevole livello di censura contro gli ambientalisti

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Tenete sempre d’occhio gli editoriali di Chang Ping. Uno dei molti “equilibristi della censura” o, descrivendolo con una metafora tratta dal pingpong, uno dei professionisti del “segnare punti sulla linea di fondo campo” (è indispensabile leggere Ho servito il popolo cinese di Emma Lupano, se il tema vi incuriosisce). Nell’ultimo tratta della protesta ambientalista di Shifang. Non poteva farne a meno: per la prima volta dopo Tian’anmen un movimento politico partito da organizzazioni studentesche si è scontrato con la polizia.

È qualcosa che in Cina colpisce. E a differenza di ogni altra protesta avvenuta fino ad ora, a Shifang i manifestanti oltre a chiedere che i loro diritti venissero tutelati, ribadivano con slogan il loro supporto al Partito comunista cinese. I funzionari si sono trovati con le mani legate. […] Hanno dichiarato che capivano che i manifestanti non avevano motivazioni politiche, ma che allo stesso tempo temevano che potessero essere ‘strumentalizzati da potenze straniere ostili’”.

L’analisi politica dell’incidente è stata lasciata agli editoriali del Global Times, spin off in lingua inglese del Quotidiano del Popolo, l’unico media in Cina a poter commentare con taglio politico notizie e incidenti. Il quotidiano, che qualche settimana fa era stato messo in ridicolo perché commentando l’attualità chiedeva ai cittadini cinesi di tollerale un “ragionevole livello di corruzione”, aveva deciso di perseguire con la stessa strategia di sofismi. Argomentava che la Cina non può permettersi di tutelare l’ambiente perché è ancora indietro rispetto ai Paesi del primo mondo.

Cercava dunque di avvalorare la tesi che i cittadini cinesi avrebbero dovuto tollerare un “ragionevole livello di inquinamento”. E poi – si chiede Chang Ping – “cosa viene dopo? Un ragionevole livello di violenza? Un ragionevole livello stupro?”. No, Chang Ping ce lo ha spiegato a commento di un suo editoriale che partiva dal muro di Berlino per commentare i tanti muri della Cina. “Il sistema sociale edificato da una dittatura considera gli individui come dei mattoni da incastrare per costruire un muro. Ma c’è un pericolo: se alcuni mattoni saltano, collassa l’intera struttura. In Cina i mattoni che saltanno saranno sempre di più”.

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