Prima ancora che blogger sono un vorace lettore dei blog altrui. Lo sono per svariati motivi a partire dal gusto della polemica e della provocazione. Un innocente passatempo che mi rilassa e mi diverte.

Coerentemente a questo, e nei limiti del possibile, quando scrivo un post ho l’abitudine di tenere in debito conto i commenti e i suggerimenti, i correttivi o le critiche dei lettori che partecipano al dibattito. Ad intervenire. Frequentando altri blog mi accorgo che, però, questa attitudine appartiene a pochi.

E mi domando il perché?

Che gusto c’è, a non interloquire con gli altri? A scrivere una tesi e poi, disinteressarsi di quello che scrivono gli altri? A non sostenerla, quella tesi che hai scritto.

Il bello, e anche il vero impegno, nel tenere un blog consiste proprio in questo. Non certo nello scrivere il pezzo. La bellezza sta nel confronto, nell’attenzione e, mi si scusi la parola desueta, anche nel rispetto di chi interviene. Una forma nuova di partecipazione al dibattito che altrimenti sarebbe svuotata nella sostanza svilendo un blog a mero articolo di giornale.

Ora viviamo in un periodo in cui c’è un roboante uso di termini come democrazia, partecipazione, condivisione, socializzazione e mille altre belle parole che stentano a trovare una compiuta applicazione nella vita quotidiana. A maggiore ragione questo uso roboante è rintracciabile proprio in moltissimi blog al cui interno gli stessi blogger non condividono e non partecipano, non socializzano. Sentenziano e tanti saluti. Hanno ragione loro? Forse si.

Io lo  trovo buffo. Mi vengono in mente le parole di una canzone dell’indimenticabile Giorgio Gaber: “In Virginia il sig. Brown era l’uomo più antirazzista/ il giorno in cui sua figlia sposò un uomo di colore/ lui disse bene ma non era di buon umore”.

Tutto qui.

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