Mappe in cui confluiscono immagini aeree, dati forniti dagli utenti (crowdsourcing) e incrociati con quelli delle amministrazioni in caso di emergenza. Per coordinare i soccorsi, facilitare il lavoro delle forze dell’ordine e fornire indicazioni utili ai cittadini. Un modo per migliorare gli interventi nei momenti critici, incluso il terremoto in Emilia. Open Street Map è un progetto collaborativo online in grado di realizzare la raccolta cartografica delle informazioni e di rilasciarle in licenza Creative Commons, che consente la condivisione gratuita. Partecipano circa 700mila persone in tutto il mondo su base volontaria, con una grossa concentrazione in Europa. Tra gli sviluppatori c’è Simone Cortesi che mercoledi 11 luglio a Milano nel corso di HacksHackers, meetup per giornalisti e sviluppatori,  presenterà i risultati del progetto applicato al sisma che ha colpito le province di Modena e Ferrara.

Le mappe modificate dai dati aggiornati, tra strade interrotte e case crollate, sono scaricabili dal sito e possono essere trasferite sul navigatore satellitare. Il progetto di Open Street Map è basato sulla filosofia open data, che promuove trasparenza e condivisione dei dati pubblici. “Le amministrazioni hanno cartografie bellissime e complete che spesso però tengono chiuse nei cassetti. O se un cittadino chiede di consultarle, magari deve andare in Comune, compilare un modulo e aspettare che il dvd venga spedito a casa”. Dall’unione dei dati ufficiali e dal crowdsourcing è possibile “mappare la collocazione delle panchine e il posizionamento dei numeri civici, fino alla densità di popolazione di una determinata zona”. Informazioni che in caso di emergenza e terremoto diventano cruciali per individuare dove – e soprattutto come – intervenire.

“Quando succedono eventi catastrofici si moltiplicano anche le società che si occupano di dati geografici che provano ad approfittarsene. In queste situazioni è prioritaria l’organizzazione – spiega Cortesi – Da Haiti all’Emilia c’erano centinaia di persone disposte a portare sul posto beni di prima necessità, ma non erano disponibili dati che indicassero la strada percorribile e non danneggiata”. In questi casi non sono nemmeno utili le immagini di Google Street view perché “vecchie di almeno sei mesi o qualche anno”. Insomma, i dati non sono aggiornati. “Basandosi sul crowdsourcing si possono integrare dati pubblici” e creare una base diversa rispetto a quanto fornito dai motori di ricerca a cui si aggiunge “la possibilità di aggiornare il dato tramite una licenza che consente di utilizzarlo”.

Per il terremoto di Haiti nel 2010 il progetto Open Street Map è stato applicato con successo e hanno partecipato 2500 persone, raggiunte tramite mailing list e social media. “Dopo il terremoto abbiamo chiesto a Digital Globe, partner commerciale di Google, di usare il satellite per scopi umanitari e per fornirci immagini aeree aggiornate. Google.org, il braccio filantropico del motore di ricerca, ha sponsorizzato le fotografie e nel giro di 48 ore la qualità della mappa era di gran lunga superiore a quella dei provider commerciali. E soprattutto era aggiornata all’evento post terremoto”. Case distrutte, strade bloccate e fontane di acqua potabile localizzate in tempo reale a costo zero. “In situazioni di emergenza, recuperare i dati diventa impossibile. Sia perché i permessi non li puoi chiedere o perché, ad esempio, il sindaco è morto e il Comune è inagibile”. Un successo che si avvale della collaborazione degli utenti in stile Wikipedia (anche se tutte le segnalazioni di modifica sono supervisionate da utenti esperti) e che ora pensa anche alla suddivisione delle mappe per aree di competenza. Ma il sistema di open data comporta anche la trasparenza delle istituzioni “che se mettono a nudo disservizi e inefficienze non possono sottrarsi al giudizio dei cittadini”. Anche in caso di emergenza, le mappe e il crowdsourcing si scontrano col potere. 

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