Non più di una settimana fa, il Fatto era a Londra per un incontro alla Westminster University che ha permesso di mettere in circolo idee ed energie tra l’Italia e quella numerosa fascia di italiani che vivono e lavorano all’estero. Dopo i commenti che ne sono seguiti, come quello del vicedirettore Marco Travaglio e della ricercatrice Francesca Coin, la riforma del lavoro targata Fornero – su cui si era incentrata una parte importante dell’attenzione degli interventi londinesi – ha superato il primo passaggio decisivo, ricevendo l’approvazione al Senato e preparandosi, probabilmente, a diventare legge entro l’estate.

“C’è qualche passo avanti dopo gli anni di Berlusconi”, commenta Paolo Falco di Fonderia Oxford “ma quello che si vede è solo una  timida attuazione della riforma storica pre-annunciata dal ministro Fornero. I maggiori punti di debolezza sono che (a) non semplifica il labirinto dei contratti di lavoro Italiani (b) non interviene con sufficiente decisione per ridurre i tempi della giustizia in materia di lavoro (c)  rendendo più costose alcuni contratti precari per il datore di lavoro  l’introduzione di un salario minimo rischia di scaricare tali costi sui salari dei lavoratori stessi (d) non offre ammortizzatori sociali davvero universali”.

Spiega ancora Paolo Lucchino di quattrogatti.info: “A parte le modifiche dell’articolo 18 che risultano confuse e confusionarie, il resto della riforma Fornero fa qualche passettino nella direzione giusta di ridurre il dualismo del nostro mercato del lavoro. Molto dipenderà anche della sua applicazione. Per esempio, l’inasprimento dei controlli sui finti lavoratori a progetto e partite iva previsto dalla riforma è assolutamente la cosa da fare. Ma si farà veramente? Anche qui pesaranno i veti incrociati dei partiti e parti sociali che hanno impedito una riforma di più ampio respiro.

 

“Quello che è passato al Senato con quattro voti di fiducia” affonda Enrico Sitta di Tilt “è un testo che poco ha a che vedere con una vera riforma del mercato del lavoro. Siamo ancora legati, come sistema paese, ad un’idea fordista di lavoro che oggi non trova più riscontri. Si stima infatti che fra parasubordinati, atipici e indipendenti siano circa 5 milioni i lavoratori a diverso titolo precari nel nostro paese. A questi la riforma Fornero sostanzialmente non parla, escludendoli dalle tutele dell’ASpI e dai diritti più basilari (maternità, ferie, malattia) lasciando invece inalterato il panorama delle 46 forme contrattuali, un frastagliato arcipelago in cui è naufragata una generazione. In questo senso pensiamo che l’introduzione di un reddito minimo anche in Italia come ovunque altro in Europa renderebbe più facili e più giuste le cose”. E per rivendicare reddito e diritti Tilt insieme al comitato Il Nostro Tempo é Adesso rilancia l’appuntamento nazionale La Meglio Gioventù per sabato 16 giugno a Roma.

Tira le fila Francesca Coin: “Le giovani menti che i vari governi italiani si ostinano a definire immobili o poco intraprendenti, spesso strette tra dinamiche di precarietà e un mercato occupazionale sempre più ostile, raccontano in verità di biografie brillanti e inquiete, che non si arrendono a una politica miope bensì vogliono cambiarla. Dicono che l’università italiana, così mortificata dai tagli e da una rappresentazione infelice che nasconde dietro alle storie baronali i suoi più promettenti studenti e ricercatori, ancora produce non solo conoscenza, ma una consapevolezza diffusa che attraversa i confini”.

La bolla formativa in Italia

Insomma, tra  scarse luci e molte ombre, all’italian lost generation restano poche vie di fuga: migrare o restare lottando. Ma come l’incontro di Londra ha dimostrato, le sinergie tra chi è andato – e forse torna – e chi resta – e forse vuole andare via – sono utili, importanti e perfino necessarie.