Estate 1991. Mi trovavo in un agriturismo del Chianti per un corso di aggiornamento. Una mattina, mentre stavo leggendo un reportage di viaggio su ‘Il Giornale’ mi si avvicinò un compagno di corso. Mi guardava da un po’, ma solo durante una mia girata di pagina attaccò discorso:

– Come mai leggi Il Giornale? Non hai niente di meglio? –

Stupita della presa di posizione risposi con lo stesso tono: – E’ sempre bene sapere come la pensa il nemico.– Ma dopo ridacchiai, imbarazzata per aver forse detto troppo – Mi piace come scrive Montanelli. Mi aiuta a pensare. –

Intanto lo sconosciuto, non invitato, si era seduto sulla poltrona a lato. – Montanelli è un paraculo. –

Perché dici così, lo conosci? –

Sì, lo conosco piuttosto bene, visto che lavoro per lui. E, detto per inciso, sono anche l’autore dell’articolo che stavi leggendo con tanto interesse. –

Arrossii. – Sei un giornalista, dunque. E perché lavori per il Giornale? Non hai niente di meglio? –

Ci lavoro perché mi ha chiamato Montanelli. –

Parlami di lui. Mi sono sempre chiesta perché ha fondato un giornale come questo. –

Perché è un uomo di destra. –

Qual è il suo punto debole? Quello che lo fa sbagliare, voglio dire.-

La vanità. –

E a te perché ti ha scelto? Non mi sembri un adulatore. –

Non lo sono. E infatti non lo so perché mi chiamò con sé. Una volta gliel’hanno chiesto, perché mi aveva assunto, un giorno che andai a trovarlo in ospedale dopo che le BR gli avevano sparato: un collega gli disse, direttore, stia attento, questo qua è amico di quelli che le hanno sparato, e lui strizzandomi l’occhio rispose, proprio per questo me lo abbraccio, non si sa mai!–

Altri difetti? –

La sua convinzione di potersi mantenere libero da Berlusconi. –

Il costruttore che si è comperato il Giornale? –

Sì. Secondo me prima o poi vorrà entrare in politica. E allora litigheranno, perché Montanelli non farà mai il trombettiere di nessuno. Lo ha fatto da giovane con il fascismo, e credo abbia imparato la lezione. Montanelli da soldato in Etiopia si comprò una moglie di 12 anni, da giornalista osteggiò la legge Merlin, negò le responsabilità dolose del disastro del Vajont, ma durante la guerra di Spagna favorì l’espatrio di un anarchico e a causa di un articolo disfattista ci rimise la tessera da giornalista. Lo sapevi? –

La vita è lunga, un uomo bisogna valutarlo nel suo insieme –

Credo che alla fine lui sia e sarà sempre un anarchico. Non vuole padroni. Lo sai che quando le BR gli spararono alle gambe ( lui aveva già 68 anni) rimase aggrappato alla grata, e ai suoi giornalisti che lo soccorrevano affranti diceva: – Che culo, ragazzi, domani facciamo il botto colle vendite del Giornale! –

Qualche tempo dopo quel giornalista diventò il mio compagno. Montanelli veniva di rado a Roma, anche alla redazione de La Voce, né mai io lo incontrai. Me ne parlava G. ogni tanto, mi diceva, se vuoi te lo faccio conoscere, ma io replicavo, non ho bisogno di conoscerlo, mi basta leggerlo. Il giorno che morì mi trovavo a Salvador di Bahia. G. mi mandò una mail e io lo chiamai. Piangeva al telefono, e continuava a dire, gli volevo bene, gli volevo bene. Piansi anche io, dall’altra parte del mondo, mentre mi tormentavano le zanzare tropicali, per un uomo che non amava le donne e che non avevo conosciuto. Ma si era opposto ai tiranni, aveva pagato del suo e invecchiando aveva cercato la verità, cercando poi di spiegarla con chiare parole a quelli che non sapevano, o non capivano, o facevano finta di non capire. Per me era sufficiente, non tanto per essere d’accordo con lui, ma per piangere la sua scomparsa come un fatto che mi riguardava.

Grazia Delpiano