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Fiorucci licenzia il 50% dei dipendenti. “Niente crisi, il lavoro in appalto costa meno”

Immediato lo sciopero di tutti i lavoratori dello stabilimento parmense. La Cgil: "Intraprenderemo ulteriori iniziative di lotta con lo scopo di fare cambiare idea all'azienda e ottenere il ritiro della procedura di mobilità"
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L’ondata di licenziamenti in corso nel nostro paese non risparmia le aziende alimentari: Fiorucci licenzia la metà dei suoi dipendenti. Sui 61 lavoratori impiegati nei due stabilimenti della provincia parmense, Mulazzano Ponte e Felino, sono 27 quelli che la settimana scorsa (il 2 aprile) si sono visti aprire unilateralmente una procedura di mobilità da parte del gruppo industriale.

Ma i lavoratori hanno subito risposto mercoledì 11 aprile con uno sciopero di otto ore  che ha raccolto il 100% di adesione. Davanti ai cancelli dello storico marchio originario di Norcia, hanno incrociato le braccia anche i dipendenti  appartenenti allo stabilimento di Felino.

Alla base dei licenziamenti avviati dal gruppo Fiorucci la settimana scorsa, stando a quanto dichiarato dalla Flai Cgil, non vi sarebbero problemi di produzione o di tipo industriale, ma “unicamente la volontà di ridurre il costo del lavoro con appalti e terziarizzazioni”. L’azienda, nata nel 1850 e diventata leader nazionale nella produzione di salumi, è stata acquisita l’anno scorso dal gruppo spagnolo Campofrio Food Group. Eppure, come dichiarato sul sito dell’azienda che è presente in ben 60 paesi del mondo grazie al più grande patrimonio di prodotti tipici regionali – andando dal noto prosciutto fino alla produzione di balsamico – è tra le più grandi industrie del settore, con una produzione annuale di 400 tonnellate di prosciutto per rimanere nel parmense, a cui si aggiungono 330.000 prosciutti crudi che ogni anno escono dal sito di Felino.

L’acquisizione di storici marchi italiani nell’agroalimentare, è stata denunciata a più riprese da Coldiretti. “Nell’ultimo anno – sottolinea la federazione – sono stati ceduti all’estero tre pezzi importanti del Made in Italy alimentare che sta diventando un appetibile terra di conquista per gli stranieri con la tutela dei marchi nazionali che è diventata una priorità per il Paese”. Restando il zona, basti ricordare il caso della francese Lactalis, “protagonista – prosegue Coldiretti – dell’operazione che ha portato la Parmalat finire sotto controllo transalpino”. Niente licenziamenti nel caso del colosso di Collecchio, passato in mano francese l’anno scorso. Al contrario di quanto invece sta succedendo al prosciuttificio di Parma.

È per questo motivo che “nei prossimi giorni – annuncia il sindacato – verranno intraprese ulteriori iniziative di lotta con lo scopo di fare cambiare idea all’azienda e ottenere il ritiro della procedura di mobilità”. La compattezza e la determinazione dimostrata dai lavoratori, racconta la Federazione dei Lavoratori dell’AgroIndustria, secondo cui questo “è il modo migliore per proseguire la vertenza”, lascia presumere che verrà data battaglia al colosso dei salumi.

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