Se ti sposi all’estero risulti sposato anche in Italia. E’ questa la prima considerazione che verrebbe da fare leggendo la sentenza di oggi del Tribunale di Reggio Emilia, che ha riconosciuto il diritto di soggiorno in Italia di un cittadino uruguayano sposato con un italiano in Spagna.

Già un mese fa, nello stesso procedimento, avevamo avuto una conferma di questa lettura delle norme italiane (ed europee) in materia di ricongiungimento familiare. Gli italiani che sposano una persona del loro stesso sesso all’estero (ovviamente in un paese che riconosce i matrimoni same-sex) possono far valere l’unione in Italia per ottenere il ricongiungimento familiare e continuare quindi a vivere nel nostro Paese col proprio compagno o con la propria compagna.

La ragion d’essere di una simile soluzione è ovvia. Se ti sposi all’estero e poi decidi di vivere in Italia, il tuo diritto alla vita familiare verrebbe irrimediabilmente pregiudicato se lo Stato imponesse al tuo coniuge l’espulsione perché irregolare. E’, questo, un effetto diretto della ben nota sentenza della Corte costituzionale del 2010, per cui le persone omosessuali “godono del diritto fondamentale di vivere liberamente la loro condizione di coppia“, e della sentenza della Corte di Strasburgo, sempre del 2010, che considera le unioni omosessuali come famiglie nel vero senso del termine.

Si badi che la decisione non introduce il matrimonio tra persone dello stesso sesso in Italia, ma semplicemente dà conto di una relazione familiare che si è perfezionata in un altro Stato ma continua a produrre effetti, nei limiti del ricongiungimento familiare (che significa la dotazione di un permesso di soggiorno) in Italia, consentendo alla coppia di vivere insieme.

Principio sacrosanto, mi pare. Solo che la politica, ancora una volta, dimostra di vivere nell’empireo dell’ignoranza. Infatti, i deputati del PDL Tommaso Foti e Agostino Ghiglia hanno presentato un’interrogazione parlamentare ai ministri Severino e Cancellieri (la n. 5-06243) ponendo le seguenti questioni:

(1) “non appare chiaro quale norma o interpretazione giurisprudenziale, anche di rango sovranazionale, consenta il ricongiungimento familiare fra persone coniugate dello stesso sesso“;
(2) “se e quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere nel caso in cui non sia rinvenibile un chiaro fondamento giuridico che consenta di giungere alle conclusioni cui è pervenuto il magistrato in premessa citato“.

Se posso permettermi, rispondo io, così evito alle due ministre, già oberate di pesanti incarichi, di prendersi a carico pure questi.

Punto primo: è tutto chiaro, basta leggersi la sentenza. Punto secondo: ma quale iniziativa volete prendere? Il Ministero dell’Interno impugnerà la decisione, se la ritiene errata, anche se non vedo su quale base. Il diritto alla vita familiare è riconosciuto anche a gay e lesbiche, che piaccia o no. E le coppie omosessuali si sposano all’estero e poi tornano in Italia. Che piaccia o no.

Quale persona crudele vorrebbe davvero, nel 2012, separare due persone che si amano? E meno male che il PDL era il partito dell’amore…

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