Questa mattina in piazza Aldrovandi, a Bologna, è comparsa una scritta sul muro con i nomi dei quattro poliziotti arrestati il cinque marzo scorso con l’accusa di aver rapinato per almeno due volte stranieri che erano stati fermati per controlli. I loro nomi erano accostati ad un evento che sconvolse anni fa il capoluogo emiliano romagnolo e non solo: la Uno Bianca. Una scritta fatta cancellare immediatamente, ma che rievoca periodi di tensione e delitti ultimamente accostati dal giudice Giovanni Spinosa ad ambienti di mafia. I quattro agenti, Francesco Pace, Alessandro Pellicciotta, Valentino Andreani e Giovanni Neretti, sono attualmente agli arresti.

Intanto è arrivato sul tavolo del capo della polizia, Antonio Manganelli, il rapporto sulle Volanti di Bologna. Daniela Stradiotto, la dirigente del Servizio di controllo del territorio, in due giorni ha concluso che l’ufficio bolognese ha bisogno di una profonda riorganizzazione. E dalle indagini della procura di Bologna emergono nuovi dettagli, a conferma di quella che è la conclusione degli uomini inviati dal Viminale.

Infatti è emerso che l’ultimo dei quattro poliziotti arrestati, Giovanni Neretti, 40 anni, lo stesso che accusò un malore al momento dell’irruzione dei colleghi, era l’unico in quella mattina a dover prestare servizio. Doveva essere in divisa alle sette di mattina, ma gli agenti appostati sotto la sua abitazioni avevano atteso invano la sua uscita di casa per andare a lavorare, decidendosi infine di salire nel suo appartamento e arrestarlo. Ed ora gli inquirenti si chiedono per quale motivo non si era ancora avviato a lavoro? Una soffiata? O gli orari di servizio erano considerati in maniera molto elastica?

Inoltre è anche emerso che per evitare il verificarsi di ulteriori reati, la procura aveva disposto un servizio di pedinamento alle due volanti dei quattro poliziotti arrestati. Per circa due settimane i poliziotti della squadra mobile con due piccole vetture noleggiate seguivano passo passo gli agenti indagati. E proprio in questa occasione uno dei quattro poliziotti poi arresati avrebbe riferito a colleghi di essersi accorto dei pedinamenti, indicando correttamente la marca dell’auto, ma non il colore. Perchè questo errore?

Intanto la posizione di Eugenio Migliano, non indagato, potrebbe complicarsi. Il poliziotto in pensione da circa un mese, sentito la scorsa settimana in procura come persona informata sui fatti dal procuratore aggiunto Valter Giovannini e dal sostituto Manuela Cavallo, era stato convocato dai magistrati per le sue conversazioni con Alessandro Pellicciotta prima dell’arresto. Ai pm l’ex agente aveva detto di non aver mai consigliato il difensore a Pellicciotta, né di averlo messo in contatto con Luigi Saffioti, del quale è amico, e che poi effettivamente sarà l’avvocato di tre dei quattro agenti, seppur per pochi giorni.

Pellicciotta, invece, davanti ai pm ha detto l’esatto opposto: fu proprio Migliano a indicargli il nome di Saffioti. E i tre si incontrarono anche nello studio legale dell’avvocato. La procura sta continuando i suo accertamenti, per capire il motivo per cui anche altri due agenti, Andreani e Pace, nominarono Saffioti.

Ma anche la posizione di Alessandro Pellicciotta si aggrava. La sua attendibilità e la sua credibilità, infatti, sembrerebbero incrinarsi in seguito agli interrogatori dei magistrati. Giovedì scorso avrebbe dichiarato di aver appreso delle indagini sul suo conto grazie ad un collega di un commissariato, fornendo ai magistrati il nome. Questi avrebbe avuto quelle informazioni da un ispettore della Squadra Mobile. Il procuratore aggiunto Giovannini avrebbe chiamato immediatamente la Squadra Mobile, con la richiesta di sentire il poliziotto indicato da Pellicciotta, che però ha escluso tassativamente di aver avuto quelle notizie dall’ispettore.

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