Tornano caos e proteste nel Tibet. Domenica, una studentessa tibetana di 19 anni, Tsering Kyi, si è data fuoco nella città di Machu, nella ex regione di Amdo, per protestare contro l’occupazione cinese. È morta mentre i venditori di etnia Han del mercato locale le lanciavano pietre. Nello stesso giorno Rinchen, una vedova di 33 anni madre di 4 figli, si è data fuoco per protesta, invocando il ritorno del Dalai Lama a Lhasa, davanti al monastero di Kirti, a Ngaba, nell’odierna provincia del Sichuan, già teatro di altre immolazioni. Sempre di ieri la notizia della morte di Rigzin Dorje, monaco di 19 anni che si era dato fuoco per protesta, mentre a un altro giovane monaco che si era auto immolato a settembre, Lobsang Kunchok, sono state amputate gambe e braccia.

Dal 27 febbraio 2009 a oggi sono 25 i suicidi per protesta di monaci e civili tibetani nella regione. Gli ultimi proprio alla vigilia dell’apertura annuale del parlamento cinese del 5 marzo, qualche giorno prima del Giorno della rivolta tibetana, che commemora la ribellione di Lhasa contro la presenza della Cina del 10 marzo 1959. Varie iniziative si stanno svolgendo in tutto il mondo per rendere nota questa che è diventata un’emergenza umanitaria, prima ancora che politica. Dalla protesta legale lanciata dal Congresso della Gioventù tibetana (TYC) con lo sciopero della fame a oltranza davanti al Palazzo di vetro delle Nazioni Unite a New York, che oggi è arrivato al 12esimo giorno alla marcia pacifica organizzata dall’Unione degli studenti indiani dell’Università di Delhi insieme a Free Tibet, fino all’illegalità di un anonimo hacker olandese, poltergeisth4cker, che due giorni fa ha violato diversi siti cinesi sostituendo la loro homepage con il messaggio “Free Tibet” e l’immagine del Dalai Lama.

In Italia le iniziative ufficiali non mancano. Qualche giorno fa il consiglio regionale del Lazio ha votato una mozione che sospende l’approvvigionamento di beni prodotti in Cina o realizzati con materie prime provenienti dalla Cina in tutti gli uffici regionali e negli enti pubblici dipendenti dalla regione o a partecipazione regionale, in nome del “rispetto dei diritti umani, la libertà di religione e la libertà di associazione”. La mozione impegna il presidente della regione Renata Polverini e la giunta affinché “vengano condannate tutte le forme di violenza contro il popolo tibetano e ad esortare il governo cinese ad avviare subito politiche di dialogo nei confronti delle autorità civile e religiose del Tibet che vivono in esilio”.

Il 3 marzo un comunicato stampa dell’Ambasciata della Cina si augurava che l’Italia eviti di “interferire nella politica interna della Cina” per non “danneggiare i rapporti bilaterali e ferire l’amicizia tra i due popoli“. Il 18 e il 19 febbraio Rai2 e Rai1 hanno trasmesso una trasmissione su “Padiglione Tibet”, una mostra di giovani artisti tibetani allestita a Venezia, attualmente presente a Torino, che non ha potuto essere ospitata all’interno della Biennale per la semplice ragione che il Tibet ufficialmente non esiste. Qualche mese fa Rai News 24 ha trasmesso “Bruciare per il Tibet”.

Ma cosa fanno le associazioni senza fini di lucro? Lo abbiamo chiesto a Claudio Cardelli, presidente di Italia-Tibet, l’associazione fondata nel 1988 che oggi conta al momento oltre 2200 soci. “Insieme alle comunità tibetane in Italia, ad altre organizzazioni senza fini di lucro, all’Intergruppo parlamentare per il Tibet e all’Associazione Comuni, Province e Regioni per il Tibet, fra cui al momento il Lazio, il Piemonte e le Marche, stiamo organizzando un convegno in Campidoglio per il giorno 9 e un presidio davanti all’Ambasciata cinese per il giorno seguente. Il 9 saranno presenti tutti i consiglieri delle regioni che hanno votato. Speriamo che qualcosa si smuova da parte cinese. La protesta sta cambiando passo e non si sa come può reagire questo popolo, che è sempre più esasperato. E come può reagire la Cina”.

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