Se si confrontano le strutture produttive dei paesi europei si scopre che nei paesi del Sud Europa (Grecia, Portogallo, Spagna, Italia) le imprese sono in media più piccole rispetto alla dimensione media che prevale nei paesi del Nord Europa.

La Grecia, ad esempio, è il paese europeo nel quale la struttura produttiva è più frammentata, circa un terzo del totale degli occupati in Grecia lavora in micro-imprese, cioè aziende con meno di 10 addetti; in Germania solo il 4,3 per cento del totale degli occupati lavora in imprese così piccole. In Portogallo solo il 20 per cento delle imprese ha 250 addetti o più contro il 55 per cento delle imprese in Germania. L’Italia è molto più simile alla Grecia o al Portogallo che non alla Germania, sotto questo profilo.

Il 95 per cento delle imprese italiane ha meno di 10 dipendenti. La frantumazione del nostro sistema produttivo si spinge ai massimi livelli. Basti pensare che in Italia circa il 23 per cento degli occupati è costituito da lavoratori autonomi, in Germania solo il 10 per cento.

Tantissime piccole e piccolissime imprese, poche grandi imprese, moltissimi lavoratori autonomi, ecco come si presenta il nostro sistema produttivo e quello di altri paesi del Sud Europa.

Una simile frammentazione ha una serie di effetti negativi: le piccole imprese sono meno produttive delle grandi e sono meno innovative. Le piccole imprese inoltre offrono meno occasioni di lavoro ai lavoratori più qualificati (laureati e specializzati). Le piccole imprese non hanno risorse sufficienti per internazionalizzarsi e per penetrare i mercati esteri più lontani, come Cina, India, Brasile, Indonesia, etc., che sono anche quelli la cui domanda cresce di più.

Le piccole imprese finiscono spesso per sopravvivere grazie al contenimento di alcuni costi: salari più bassi, minore rispetto delle normative, maggiore evasione fiscale.

Per crescere di più, la Grecia ma anche l’Italia avrebbero bisogno di una struttura produttiva più moderna. Il punto non è tanto quello della dimensione media. Le vere questioni cruciali sono: la scarsa presenza di grandi imprese e la ridotta crescita dimensionale delle aziende. Servono alcuni big players in ogni settore per generare innovazione e diffonderla tra le piccole aziende. L’altro punto è che le nostre imprese nascono piccole e restano piccole, anche dopo 10 anni. Questo spiega in parte perché abbiamo così poche grandi imprese.

La domanda è: come mai le imprese in Italia non crescono?

Vi sono fattori istituzionali: norme, regolazioni pubbliche, pressione fiscale e così via che scoraggiano la crescita. Inoltre, il fattore lavoro diventa più rigido da impiegare se si superano certe soglie, se non altro perché aumenta la sindacalizzazione.

La finanza non funziona bene: le piccole imprese sono razionate sul credito e quindi non hanno fondi per crescere. Mancano strumenti specializzati per il finanziamento delle piccole imprese.

Ma anche gli assetti proprietari sono un ostacolo. Le aziende italiane sono tutte familiari e le famiglie controllanti non vogliono, spesso, aprire la compagine societaria ad altri soci, che porterebbero nuovi capitali ma metterebbero a rischio il controllo da parte della famiglia stessa.

Ecco allora che dobbiamo cercare di difendere le poche grandi imprese che abbiamo (Fiat innanzitutto) e in secondo luogo adottare politiche che rimuovano gli ostacoli alla crescita dimensionale.

Articolo Precedente

Grecia, il default pilotato svela l’inganno da tremila miliardi dei Credit default swaps

next
Articolo Successivo

Il genuflesso Fabio Fazio

next