Un giudice di Torino ha condannato me e la Rai a risarcire con 7 milioni di euro Fiat per aver realizzato un servizio, nel dicembre del 2010, per la trasmissione Annozero. Si tratta di una condanna senza precedenti, applicata sulla base del codice civile. Una cifra impressionante, del tutto insostenibile. Una sentenza che investe non soltanto la vita di una persona, ma le ragioni stesse della nostra professione.

Nel servizio incriminato, al fine di valutare la competitività di Alfa Romeo sul mercato delle auto sportive, avevo messo a confronto tre piccole “belve” su una pista per testare le loro prestazioni assieme a un pilota collaudatore. Un confronto già peraltro realizzato dalla più autorevole rivista di settore, Quattroruote, la quale aveva sancito con tanto di responso cronometrico che l’Alfa Romeo Mito Quadrifoglio Verde, una delle tre auto a confronto, era la più lenta su circuito, distanziata dalla Mini Cooper S di tre secondi e dalla Citroen DS3 di un secondo e mezzo. Insomma, il test di Annozero si era limitato a ribadire un confronto già realizzato e mai contestato.

In uscita dal servizio, dentro lo studio della Rai dove mi trovavo, mi sono limitato a constatare che la Mito “si è beccata tre secondi dalla Mini”. Frase che, agli occhi di Fiat, è risultata un’insopportabile aggressione mediatica. Non mi addentro nelle ragioni giuridiche di questa sentenza, mi limito a osservare l’immensa sproporzione tra fatto e ammenda, quindi il suo intento punitivo. Del totale, “solo” un milione e settecentocinquanta mila euro quantificano il danno patrimoniale, mentre ben cinque milioni e duecentocinquantamila euro rappresentano il danno non patrimoniale. Insomma, cinquanta secondi di filmato nel quale il giornalista afferma non che l’Alfa Mito perde le ruote a 180 all’ora in autostrada e causa la morte di chi la guida, bensì che in pista è sì stabile e sicura, ma meno veloce di una Mini (fatto non contestato dalla Fiat) valgono molto più della vita di una persona: le tabelle in vigore presso il tribunale di Milano, fatte proprie dalla Suprema Corte, riconoscono al padre che ha perso un figlio un danno non patrimoniale massimo di 308.700 euro.


Naturalmente sul mio servizio si può dissentire. Ma quale principio democratico afferma una sentenza che contesta non il fatto raccontato, bensì l’incompletezza dell’informazione in questione? In sostanza Fiat sostiene (e il giudice accoglie) che non puoi parlare della sportività di un’auto senza citare anche l’ampiezza del suo bagagliaio, la qualità delle sue finiture e la comodità del suo abitacolo. Insomma, se dici che un’auto è più lenta di un’altra (dato, insisto, mai contestato da Fiat), devi anche aggiungere che in compenso è bella spaziosa. Con tanti saluti al diritto di critica e di scelta del terreno del confronto.

Questa sentenza è un atto di intimidazione nei confronti di chi si azzarda a criticare un prodotto industriale. Nell’era della crisi globale, quando crescita e competitività diventano fattori cruciali per il futuro di un paese, una stampa orientata più ai consumatori che ai produttori è non solo necessaria, ma utile a stimolare le imprese. La domanda è: in Italia questo giornalismo libero di confrontare e criticare un prodotto ce lo possiamo ancora permettere? O questi 7 milioni di euro stabiliscono il limite oltre il quale non ci si può spingere? In Italia, guardando la tv o leggendo le riviste specializzate, tutte le auto sono belle, comode e veloci. Ma è sufficiente guardare un programma della Bbc (per esempio il mitico Top Gear) per rendersi conto di quanto lontano si spinga nel mondo anglosassone la facoltà di critica.

In Italia può esercitare il ruolo di perito indipendente del tribunale chi riceve finanziamenti da una delle parti: nel mio caso è successo per ben due dei tre consulenti indipendenti, i quali hanno ammesso di fronte al giudice che i rispettivi istituti ricevono finanziamenti da Fiat. Eppure sono rimasti tranquillamente al loro posto. Difficile per un giornalista, solo di fronte a questa condanna immensa, immaginare di continuare a esercitare il proprio diritto di critica. Chi parla male di un’auto Fiat, in Italia paga. Questa è la morale, questo deve sapere chi si appresta a fare il nostro mestiere.

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